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Newsletter del 20 Gennaio 2009

Le Pmi e lo «strano» caso del credit crunch

Che i prefetti possano riuscire nel miracolo di far coincidere le valutazioni di banche e imprese (prima) in modo (poi) di bloccare il fenomeno del razionamento del credito che si sta allargando a macchia d'olio in tutta Italia?
Occorre una dose massiccia di ottimismo, ma non c'è dubbio che il piano del Governo che istituisce in ogni Prefettura un "tavolo" di monitoraggio dei prestiti alle aziende al quale siedono imprenditori, banchieri ed esperti vari, risulta essere al momento l'unica carta giocabile per dirimere il "mistero del credit crunch". Che c'è e morde, a giudizio delle imprese medio-piccole, mentre invece non esiste, o esiste solo in minima parte, nelle considerazioni delle banche.
Naturalmente sarebbe interesse del sistema nel suo complesso evitare contrapposizioni su questo punto. Quale ripresa possa iniziare a materializzarsi a partire della prossima primavera (secondo le valutazioni più fiduciose) o alla fine del 2009 (secondo indicazioni più caute) in assenza di uno sforzo condiviso, francamente non è dato sapere. Figuriamoci poi se, addirittura, non ci si mette d'accordo nemmeno sull'analisi dei fenomeni. Però oggi il problema è esattamente questo: manca l'intesa sull'esistenza o meno del credit crunch.
Eppure, è sempre più forte la voce di chi l'impresa la fa e non trova adeguato ascolto in banca. Il Sole 24 Ore ha pubblicato numerose testimonianze d'imprenditori che, dati alla mano, denunciano problemi. E non passa giorno che, per lettera, telefono o posta elettronica, si allunghi la lista di chi ha qualcosa da dire su questo punto.
È un piccolo esercito in movimento, a volte esasperato, molto più spesso impegnato a spiegare con puntiglio e passione le ragioni dell'impresa. Un esercito che ha tenuto in piedi il Paese nei momenti più difficili e che ha trovato successo sui mercati più impensabili.
Sono i piccoli e i medi imprenditori i protagonisti del disvelamento dell'esistenza del credit crunch. Gente pratica come Filippo De Marchi, che paragona il credito e le banche all'olio del motore: «Oggi è al minimo e rischia di bagnare solo i soliti ingranaggi, con il rabbocco si dà a chi non ha bisogno ma si toglie a chi ha veramente necessità, con il rischio che il motore grippi». O come Luigi Rossi, artigiano di Reggio Emilia (e presidente di Cna Federmoda), che si chiede come si può crescere con le banche che «sono come freni a mano tirati, con la lenta e inesorabile riduzione degli affidamenti, un più difficile utilizzo delle linee di credito in essere e, in assoluto, l'impossibilità di avere nuove assegnazioni di fidi. Non siamo disperati ma attoniti sì, e disillusi».
Fin dove arriverà questo atto d'accusa è difficile dirlo, ma certo è che non pare frutto di un abbaglio o di tornaconti personali. Né compaiono i sintomi del piagnisteo alla ricerca di qualche sostegno. Ci sono piuttosto tutti gli ingredienti sociali per poter dire che la sottovalutazione di questo piccolo esercito che si vede chiudere le porte del credito in faccia può rivelarsi un errore politico ed economico.
Le banche (a parte singole eccezioni meritorie e iniziative sul territorio, soprattutto delle "minori") sembrano far muro, negando o minimizzando il problema. Ma già il fatto che del credit crunch si debbano ora occupare i prefetti è una sconfitta. Piccola sì, ma non misteriosa.
guido.gentili@ilsole24ore.com

 
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