In tempi di crisi le Pmi chiedono più libertà e decentramento, sono pronte a mettersi insieme per contare di più sia nel favorire gli investimenti in ricerca e sviluppo (uno sforzo da condividere anche con i concorrenti) sia per migliorare le relazioni con le istituzioni pubbliche, da cui molto probabilmente si sentono un po' lontane e trascurate.
Sul fronte dei rapporti sindacali, invece, promuovono a pieni voti la contrattazione decentrata e la valorizzazione dei lavoratori, sfruttando soprattutto le risorse interne. E a fare da battistrada a queste richieste anti-recessione sono le piccole e medie imprese del Nord-Est, che negli anni hanno dato vita a forme, anche impetuose, di sviluppo autonomo.
Accanto ai tradizionali ma pressanti richiami all'alleggerimento delle trafile burocratiche e alla maggiore collaborazione con clienti e fornitori, più del 90% delle piccole e medie imprese italiane, chiamate a fronteggiare una crisi che a partire dal nodo del credito ogni giorno stringe inesorabile il suo cappio, aprono le porte a misure improntate alla sussidiarietà e alla capacità di condividere, di fare rete, di associarsi. Basti pensare che quattro su dieci sono iscritte ad associazioni di categoria o appartengono a un polo distrettuale e un altro 15% fa parte di consorzi di imprese.
Il Rapporto 2009 "Sussidiarietà e piccole e medie imprese, effettuata dalla Fondazione per la sussidiarietà su un campione di 1.600 aziende - all'80% di piccole dimensioni, perlopiù concentrate nel Nord-Est e nel Nord-Ovest e per metà società di capitali -, mette in luce che le Pmi non chiedono privilegi, ma la possibilità di esprimere appieno le proprie potenzialità e la propria forza, a partire da una robusta semplificazione amministrativa e fiscale, base irrinunciabile - a ribadirlo è il 55% delle imprese - per favorire lo sviluppo.
«La prima evidenza che emerge dal Rapporto - spiega Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà - è che, mentre oggi si discute molto di aiuti alle grandi imprese, le Pmi, che sono il nerbo del nostro tessuto produttivo e della nostra capacità di reggere sui mercati internazionali, vogliono libertà: meno vincoli con la burocrazia, più spazio alla contrattazione decentrata, taglio di tassazioni inique. In secondo luogo, in polemica con un certo stereotipo veterosindacale, le Pmi italiane non vogliono affatto più libertà per "sfruttare" i lavoratori. Anzi, il 73% è aperto al confronto con dipendenti e collaboratori e il 95% sente fortemente la coincidenza fra interessi dei lavoratori e interessi dell'imprenditore. Infine, il Rapporto mette in luce il valore delle alleanze, con altre imprese e con le istituzioni per far sentire la propria voce. Da troppi anni si ripete il ritornello: prima i sacrifici e poi gli incentivi. Per le Pmi questa seconda fase non è mai partita veramente».
Marco Biscella
Lunedì 9 febbraio 2009