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Newsletter del 20 Aprile 2009



Negli anni di vacche grasse, quando gli utili gonfiano i bilanci societari e il Fisco si accomoda a tavola, pronto a rimpinzarsi, il termine commercialista fa necessariamente rima con la parola tasse, nel senso che al professionista contabile viene generalmente chiesto di riuscire a conciliare il rispetto delle norme con la voracità erariale. Ma in tempi di vacche magre, come quelli che stiamo vivendo, prevale tra i contribuenti, soprattutto imprese, la preoccupazione di far quadrare i conti, anche attraverso operazioni straordinarie, piani di riorganizzazione o ristrutturazioni, sia produttive sia finanziarie.
I risvolti della crisi
Per i commercialisti (dottori e ragionieri, freschi di matrimonio dopo una divisione lunga un secolo) si tratta di una sfida, ma anche di una grande opportunità. «Abbiamo un'occasione storica per far emergere la nostra professionalità», afferma Gerardo Longobardi, presidente dell'Ordine di Roma. «A chi ancora ci vede come meri fiscalisti stiamo rispondendo in termini di cultura d'impresa, nel senso più ampio e moderno».
Il fronte delle Pmi
La punta dell'iceberg è rappresentata dalle aziende marcatamente in difficoltà, che si mettono in coda dagli "specialisti" delle crisi d'impresa. «È dalla fine del 2008 che registriamo un superlavoro», afferma Alessandro Solidoro, commercialista milanese, delegato dell'Ordine del capoluogo lombardo per le procedure concorsuali. «Con la riforma del diritto fallimentare - spiega - sono stati introdotti alcuni istituti oggi molto attuali, dal nuovo concordato preventivo ai piani attestati di risanamento, fino agli accordi di ristrutturazione ex articolo 182bis. L'interesse dell'imprenditore, ovviamente, è teso a utilizzare tutti i possibili strumenti giuridici di protezione prima che si arrivi all'insolvenza. Per questo l'attività di consulenza e assistenza al debitore sta rapidamente crescendo».
Dossier in crescita
In quale misura l'evoluzione della domanda si traduce in un incremento delle pratiche? Per Longobardi «il trend è già percepibile, soprattutto per effetto della clientela delle Pmi, che hanno bisogno di ripensare l'organizzazione, razionalizzare le uscite, fare un'analisi approfondita dei costi e degli investimenti. Per questo target il commercialista è diventato un punto di riferimento obbligato».
Più sfumato il giudizio di Luigi Martino, presidente dell'Ordine dei commercialisti di Milano: «Non si può parlare di un picco di attività, perchè la nostra professione è da sempre vicina all'impresa e l'opera di manutenzione viene eseguita costantemente, non solo a causa di una specifica situazione di crisi». «Inoltre - aggiunge - proprio la vicinanza, anche personale, con l'imprenditore fa sì che, quando si verifica nelle aziende una carenza di liquidità, talvolta sia proprio il professionista a rimanere per primo in lista d'attesa nei pagamenti».
«L'importante è fornire all'imprenditore tutti gli strumenti per prevenire un eventuale stato d'insolvenza», aggiunge Emanuele D'Innella, commercialista specializzato nella gestione delle crisi d'azienda e presidente della commissione sul diritto penale dell'economia in seno all'Ordine di Roma. «In questa fase - spiega - le tipologie di impresa sono riconducibili tutto sommato a due: quelle che avevano già un monitoraggio preciso della situazione, grazie alla buona governance societaria e al collegio sindacale, e quelle che, invece, non l'avevano. Ovviamente le prime hanno maggiori possibilità di uscire bene dal periodo critico, ed è anche più facile aiutarle».
«A volte - aggiunge Martino - il compito principale del professionista è proprio quello di far capire all'imprenditore che la sua azienda va guardata con un occhio diverso rispetto al passato, per evitare, in prospettiva, conseguenze più gravi».
Le procedure concorsuali
All'interno della categoria dei commercialisti, gli "specialisti" in procedure concorsuali sono una nicchia, e ancora meno sono quanti si occupano in esclusiva di restructuring, ossia di assistenza ai debitori: secondo stime degli Ordini locali, circa un migliaio tra Roma e Milano. Molti tra loro collaborano in forma associata con grandi studi legali o con le law firm internazionali. La porta d'accesso per l'attività è generalmente rappresentata dall'incarico di curatore fallimentare, anche se, poi, la consulenza all'impresa in difficoltà richiede un salto di qualità. «Gli specialisti - afferma Solidoro - non sottraggono lavoro ai colleghi; normalmente, anzi, sono chiamati in causa proprio dai commercialisti aziendali che, di fronte a situazioni complesse e a scelte difficili da prendere, cercano vie d'uscita il più possibile indolori. A volte, invece, sono gli stessi creditori a consigliare all'imprenditore l'opportunità di rivolgersi a un consulente esterno».
Maggiori investimenti
Cambierà, in funzione del business emergente, l'organizzazione degli studi? La tendenza più marcata, come è emerso anche dal recente congresso nazionale di Torino, il primo a categoria unificata, è quella all'aggregazione degli studi e all'incremento degli investimenti in tecnologie.
«Gli uffici si stanno attrezzando - afferma Longobardi - ma con una certa cautela, perchè nessuno sa quanto possa durare la crisi e, se la carenza di liquidità dovesse protrarsi, operazioni di allargamento potrebbero rivelarsi azzardate».
«Abbiamo aumentato il numero dei collaboratori - aggiunge Solidoro - ma va tenuto presente che, nell'assistenza al debitore, ci sono aspetti di fiducia personale sui quali non si possono dare deleghe».
«Il mercato richiede competenze interdisciplinari - conferma D'Innella - ma quello dell'integrazione tra gli uffici è un processo di tipo culturale, che richiede tempi lunghi. C'è chi è già arrivato al traguardo, ma vedo ancora molti studi associati che, semplicemente, si affittano le stanze tra loro, per dividere i costi. Riconoscere e far valere un Dna comune è un'altra cosa».
Elio Silva

 
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