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Newsletter del 20 Luglio 2009

Le aziende oltre la crisi: globali contro microlocal

di Daniele Marini
Un sistema produttivo segnato dalle difficoltà, che avverte pienamente su di sé i riflessi di un quadro internazionale ancora molto incerto. Tuttavia, chi pensasse a imprenditori rassegnati o fermi in attesa di una schiarita sbaglierebbe rappresentazione.
L'ottava edizione della ricerca nazionale realizzata dalla Fondazione Nord Est, promossa da UniCredit Corporate Banking, per Il Sole 24 Ore, mette in luce un quadro inatteso, ben oltre le aspettative. È un'«Italia delle imprese» più fiduciosa e solida di quanto la discussione pubblica e i dati istituzionali ci abbiano mostrato in questi mesi. Certo, si tratta di un sondaggio volto a raccogliere le opinioni, le aspettative e le condizioni avvertite, che non può contraddire i dati di fatto. Tuttavia, aiuta ad articolare meglio la visione di una crisi profonda, che non può essere letta esclusivamente sotto il profilo quantitativo. Perché le percezioni e le rappresentazioni sono il veicolo che orienta le azioni, anche oltre l'oggettività dei fatti. Rilevare l'esistenza di un sistema industriale che reagisce alle difficoltà e che - dopo un iniziale disorientamento - ha preso le misure rapidamente alla crisi, ricercando nuovi mercati e nuovi prodotti da offrire, non serve ad alimentare false immagini. Ma a comprendere le risorse (motivazionali) sulle quali fare leva per avviare interventi e politiche.
L'«Italia delle imprese», soprattutto, non ha perso la risorsa immateriale più importante: la fiducia. Nei confronti delle proprie energie, in particolare, ma anche verso le istituzioni e verso l'azione del Governo, nei confronti dell'euro e dell'Europa.
Tutto ciò non offusca l'esistenza di aspetti problematici individuabili, una volta di più, nella nostra connaturata difficoltà di fare sistema, di reagire in modo coeso e strategico. Rimane minoritario, ma cresce costantemente, l'orientamento degli imprenditori a cercare risposte alla competitività in modo individualistico, all'insegna del fai-da-te. Così come, sul piano dell'internazionalizzazione, non diminuisce la quota di quanti varcano i confini senza trovare un interlocutore che li sostenga in questo processo. Insomma, si agisce in assenza di un quadro condiviso, di un sistema-paese in grado di offrire risposte coerenti in tempi utili alle necessità di imprese che devono fare i conti tutti i giorni con agguerriti competitori internazionali. Dunque, meglio muoversi rapidamente per linee autonome, piuttosto che aspettare un intervento coordinato.
Dinamismo creativo o programmazione ragionata resta così un dilemma difficilmente risolvibile, considerati i pro e i contro di ciascuna delle due opzioni. In ogni caso, il fattore tempo diventa sempre più un aspetto discriminante, soprattutto in momenti di crisi e di incertezza.
Sullo sfondo rimangono - complicandosi rispetto a quanto rilevato nel 2007 - le questioni territoriali del nostro Paese. Da un lato, le imprese del Nord aumentano ulteriormente la consapevolezza del peso svolto per l'economia nazionale, con un gap rispetto al ruolo politico che si riduce, ma che nel Nord Est in particolare rimane elevato. Dunque, esiste una "questione settentrionale" legata alla percezione di una forbice fra l'importanza giocata in ambito economico (elevata), da un lato, e il peso (minore) di cui gode sotto il profilo della rappresentanza degli interessi nella sfera politica.
Ma il Nord non è tutto uguale. Esistono "i" Nord. Se i lombardi percepiscono una significativa centralità sia nell'economia che nella politica, così non avviene per il resto del Nord Ovest e, in misura decisamente minore, per il Nord Est. Dunque, la questione settentrionale appare composita nei suoi elementi.
All'opposto, la "questione meridionale" si acuisce, soprattutto sotto il profilo dell'economia. Le imprese del Mezzogiorno vedono aumentare la propria percezione di marginalità soprattutto per l'aspetto economico. Aumenta così ulteriormente la distanza fra "i" Nord e il Mezzogiorno. Ma, nel mezzo, le imprese delle regioni del Centro - più vicine al Nord che al Mezzogiorno - manifestano la sensazione di una perdita di terreno sia sotto il profilo del peso economico, sia politico. Sembra complicarsi, dunque, il quadro delle questioni territoriali del nostro Paese che da bipolare (Nord-Sud), diventa tripolare con una "questione Centro" che appare emergere aumentando la propria sofferenza.
I modelli di comportamento
L'analisi dei risultati, volta a individuare le tipologie di comportamenti messi in atto dal sistema imprenditoriale italiano per fronteggiare l'attuale situazione, fa emergere tre modelli prevalenti. Due gruppi fra questi, che complessivamente rappresentano quasi la metà del campione (48,2%), evidenziano un orientamento proattivo rispetto alle difficoltà. Sono le aziende soprattutto del settore industriale di taglia media e grande: sono le Pmi e le medie imprese (oltre i 50 dipendenti) industriali a funzionare da "attori reagenti".
e Il primo (30,5%), presente soprattutto fra quelle del Nord Est (41,1%), è costituito da imprese che negli anni hanno sviluppato processi spinti di internazionalizzazione e che ritengono utile realizzare forme di alleanze e aggregazioni per aumentare la propria competitività. Tuttavia, non sono disponibili ad aprire la proprietà ad altri soci o a fondi, con la plausibile complicità delle vicende finanziarie recenti. Si caratterizzano così per essere imprese self made globali, internazionalizzate e che vogliono contare solo su se stesse, sulle proprie forze.
r Il secondo gruppo (17,7%) conosce una leggera prevalenza nella componente industriale, fra quelle di dimensione media e grande (oltre i 50 dipendenti), per poco più della metà aperte sui mercati esteri, molto disponibili a ricercare forme di alleanze e aggregazioni con altre imprese e assolutamente pronte ad aprirsi a nuovi capitali per aumentare la propria competitività. In questo caso, abbiamo a che fare con imprese in ridefinizione, che intuiscono la necessità e l'urgenza di cambiare, incrementare le proprie performance e capacità.
t Il terzo gruppo, rappresentato da una quota leggermente superiore (51,8%) al precedente, è costituito dalle imprese di più piccola dimensione (fino a 49 dipendenti), prevalentemente appartenenti al settore del commercio e del terziario, anche se non mancano alcuni segmenti di manifatturiero. Si tratta di aziende il cui mercato principale è quello domestico e locale, che di fronte alle sfide poste dalla competizione sono orientate a una mobilitazione individualistica e assolutamente indisponibili ad aprire la proprietà a capitali esterni o a managerializzare l'organizzazione.
È l'imprenditoria diffusa micro-local, soprattutto quella insediata nel Centro e nel Mezzogiorno a esprimere un orientamento di tipo conservativo, e che plausibilmente rischia di soffrire di più gli effetti a lungo termine della crisi. Quindi, quanto più le imprese sono aperte ai mercati internazionali, maggiore è la propensione a vivere l'attuale fase di crisi come un'opportunità, una sfida da cogliere per accrescere la propria competitività. Viceversa, la dimensione prettamente domestica del mercato fa prevalere un'inclinazione alla resistenza di fronte ai cambiamenti necessari per fronteggiare la crisi, a ricercare soluzioni da sé, in modo disordinato.
L'«Italia delle imprese» del 2009 mostra, di fronte alla crisi, di non avere perso una risorsa fondamentale: la fiducia. Soprattutto nelle proprie capacità di reazione, in virtù delle trasformazioni realizzate negli anni trascorsi in particolare dal sistema industriale. Nonostante la consapevolezza delle difficoltà reali e diffuse, pare guardare al futuro con un ragionevole ottimismo. E auspicando in un sistema-paese alleato nella ricerca di una migliore competitività.
daniele.marini@unipd.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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