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Newsletter del 20 Luglio 2009

Tutti i segreti del brand manager

di Franco Vergnano
La crisi rilancia l'attenzione sul marchio. In un momento di recessione come quella che stiamo attraversando, il brand torna al centro dell'interesse. Comprendere il modo in cui la marca crea valore economico rappresenta un'opportunità di rilancio. Questo vale non solo per i big. Infatti pure le aziende minori – come anche i produttori di beni industriali – possono avvantaggiarsi notevolmente da un utilizzo intelligente del marchio. Questo, in sintesi, quello che sostiene Manfredi Ricca, responsabile della sede italiana di Interbrand, la maggiore società internazionale di consulenza nella creazione, gestione e valutazione del brand.
Quando il brand crea valore
Insomma, dalle multinazionali alle Pmi, un'attenta e intelligente gestione e "manutenzione" del brand rappresenta un vantaggio competitivo importante.
Il brand nasce per identificare l'origine di un determinato prodotto. Con il passare del tempo, si è arricchito di una sorta di «alone emotivo» costruito intorno a prodotti, servizi o aziende per renderli più appetibili. Ai nostri giorni il marchio è molto di più: spesso, è la risorsa che contribuisce maggiormente ai risultati dell'azienda e alla sua differenziazione.
«Oggi – dice Ricca – è possibile non solo quantificare il valore economico che un brand genera per l'azienda, ma anche avere un quadro preciso dei meccanismi attraverso cui tale valore viene creato. Questo permette di comprendere dove e come intervenire per fare in modo che il brand contribuisca sempre di più ai risultati del conto economico». Ogni anno, come noto, Interbrand pubblica la classifica dei marchi a più alto valore economico. Se si fa un confronto con gli indici di Borsa, emerge come le società presenti in classifica abbiano performance costantemente migliori e meno volatili rispetto alla media del mercato.
E, se un tempo il brand era associato essenzialmente al lusso e del largo consumo (a cominciare dall'alimentare e dai detersivi), oggi i numeri mostrano una realtà assai diversa.
Nella classifica compaiono infatti società industriali (General Electric è al quarto posto), il mondo business to business (Cisco, Oracle, Accenture), l'area internet (Google, Amazon), per arrivare al comparto finanziario, con nomi come Allianz o Goldman Sachs. Ciascuna di queste realtà riconosce nella propria marca un asset fondamentale, e la gestisce di conseguenza, definendo un posizionamento distintivo ed esprimendolo in modo incisivo e coerente in qualsiasi punto di contatto con il pubblico, sia interno che esterno.
In Italia un caso industriale, per Ricca, è ad esempio quello di Prysmian, società nata dallo spin off dei cavi Pirelli, un brand differenziante e sfruttabile a livello globale. Quotata in Borsa, nel 2008 l'azienda ha fatturato oltre cinque miliardi di euro.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, però, comprendere l'importanza economica del brand rappresenta oggi anche un'opportunità di sviluppo per le piccole e medie imprese. Sono del resto molti gli esempi italiani di aziende nate e cresciute intorno a un'intuizione sintetizzata in una marca diventata nel tempo riconosciuta, rispettata e desiderata in tutto il mondo. «Alcune Pmi di oggi saranno le realtà globali di domani. Molto spesso – spiega Ricca – abbiamo l'opportunità di lavorare con imprese che riconoscono nel brand lo strumento per accelerare la propria crescita. Aiutiamo queste realtà a identificare le opportunità competitive, e a fare in modo che il loro brand (da ciò che rappresenta al modo in cui si esprime) faccia la differenza sul mercato e crei così valore economico misurabile». Ma, esattamente, in che modo il brand crea valore economico? «Pensiamo per un attimo – è la risposta – all'organizzazione come a un'automobile che deve raggiungere un certo traguardo: potenza e affidabilità sono essenziali. Il brand è in grado di incidere positivamente su entrambi gli aspetti: sia sulla potenza (ossia, la capacità dell'impresa di generare ricavi) sia sull'affidabilità, cioè il rischio d'impresa.
Il ruolo del marchio
«Il brand – spiega Ricca – contribuisce innanzitutto a generare ricavi perché, differenziando prodotti e servizi rispetto alla concorrenza, li rende meno sostituibili e accresce quindi la domanda. Si tratta, per tornare all'analogia dell'auto, del modo in cui si aumenta la potenza. Da diversi anni utilizziamo un indice, chiamato "Role of brand index", calcolato mediante un complesso modello analitico, per esprimere il ruolo del marchio nella creazione di domanda e, quindi, di valore».
Si tratta di un indicatore proprietario che varia, in primo luogo, per settore. Nel caso dei beni di lusso il brand ha un ruolo molto elevato: la scelta dei consumatori è legata primariamente alla marca, e fattori come capillarità distributiva e prezzo sono secondari o meno influenti. In altri casi, come nei trasporti, i criteri funzionali come orari, prezzi e destinazioni risultano decisivi, e il brand ha quindi un ruolo meno preponderante, anche se non trascurabile.
Ma, all'interno dello stesso settore, brand differenti possono avere un ruolo diverso, frutto di strategie contrapposte. Per esempio, nel settore dei personal computer il brand è importante, ma in genere non è il fattore di scelta principale.
Fa eccezione Apple, un'icona il cui modello di business ruota invece proprio intorno a un brand oggetto di un vero e proprio culto. Accrescendo il ruolo del marchio attraverso un posizionamento chiaro, una personalità distintiva e una comunicazione coerente, Apple ha infranto le regole del settore, sparigliando le carte.
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L'IMPATTO DEI SIMBOLI


INIZIATIVE APRIPISTA
Nasce dai cowboys la parola brand
La marchiatura del bestiame era già utilizzata dagli Egizi. Ma il moderno brand deriva dal verbo inglese "marchiare". Il termine ricorreva, già nel XVI secolo, all'interno dell'espressione fire brand per indicare l'operazione di marchiatura di vitelli (nella foto) e cavalli, effettuata dai cowboys nelle fattorie del Far West. Prassi "esportata" negli attuali Stati Uniti dallo spagnolo Hernàn Cortés. Imprimere su ciascun animale un determinato marchio significava voler rendere nota a tutti l'identità del proprietario di quel capo

LA PRIMA TUTELA NASCE IN GRAN BRETAGNA
Lo statuto per i coltelli di Sheffield
I produttori britannici di coltelli del consorzio Company of cutlers (nella foto il simbolo), attivi nell'Hallamshire, furono i primi, nel 1623, a richiedere la tutela del proprio brand. Un atto del parlamento britannico dell'anno successivo codificò il primo statuto atto a regolamentare la il lavoro della corporazione dei Cutlers of Sheffield. Lo statuto subordinò la concessione del marchio del consorzio inglese al raggiungimento di determinati standard qualitativi

MANET FA LO <SPOT> ALLA BIRRA BASS
Il copyright è targato Londra
Il "triangolo rosso" (evidenziato dal cerchio in basso a destra nella foto) della birra inglese Bass rappresenta il primo esempio nella storia di un brand legalmente registrato. Una riproduzione del marchio Bass è visibile nel celebre quadro "Il bar alle Folies-Bergèr" dipinto nel 1882 da Edouard Manet. Un vero e proprio caso di "pubblicità occulta" ante litteram. Fu un editto, emanato dalla corona nel 1875, ad approntare la prima forma di tutela commerciale dello storico marchio britannico. L'editto, però, non tutelava ancora l'azienda dai rischi di contraffazione e utilizzo improprio

 
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