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Newsletter del 20 Luglio 2009

Alleanze di filiera per le Pmi

Massimiliano Del Barba
MILANO
I giorni bui della crisi hanno lasciato agli imprenditori un insegnamento: la dimensione ridotta sta diventando un limite e, per recuperare competitività, l'unica strada è quella di crescere. Ma per farlo, dicono i più illuminati, occorre aumentare il grado di managerializzazione anche nelle aziende più piccole. Un salto di qualità non da poco, se si considera che la maggioranza del manifatturiero italiano risponde ancora a un tipo di organizzazione famigliare. Lo spiega bene un bresciano doc come Sandro Bonomi, presidente di Anima, la federazione dell'industria meccanica e affine, e a.d. di Enolgas. Abituato a relazionarsi con la selva di piccoli e micro imprenditori che popola l'industriosa area lumezzanese, racconta: «Se ne parla da tempo, tuttavia, a parte qualche evento spot come la realizzazione di un marchio in joint venture, di concreto non si vede ancora nulla. Certo, oggi la crisi è mordente, e qualche imprenditore ha cominciato a comprendere la necessità di introdurre alleanze di filiera perché, come si dice, a mali estremi, estremi rimedi».
Il rischio, avverte Claudio Celata, direttore di Assocomaplast, l'associazione che riunisce i produttori di macchinari e stampi per materie plastiche, «è che in un periodo di bassa liquidità come questo, le aggregazioni si trasformino in mere operazioni di sciacallaggio». «C'è ancora molto da fare - avverte Federico Pellegatta, direttore di Acimit, l'associazione delle industrie meccanotessili -. In Italia, spesso, aggregare significa rilevare la parte buona di un'impresa che sta chiudendo. Dall'altra parte, progetti di concentrazione giudicati validi vengono frenati dal forte senso d'identità che gli imprenditori mantengono nei confronti della propria azienda. Essendo una loro diretta creazione, sono restii a condividere con altri know how, clientela e capitali».
Altro settore che soffre «di un'eccessiva parcellizzazione» è quello dei distributori di acciaio. «Piccoli clienti, piccoli distributori» è la formula usata da Michele Ciocca, neopresidente Assofermet Acciai e a.d. della Ciocca Lamiere. «Il comparto - prosegue - si è in pratica settato sulla dimensione medio-piccola degli utilizzatori a valle. Si tratta di una situazione penalizzante: le poche aperture verso processi di aggregazione che abbiamo registrato in passato sono state accantonate perché fino a metà dello scorso anno gli affari filavano bene. Oggi invece si ricomincia a parlare di accordi commerciali anche se, a mio avviso, serve qualcosa di più profondo, come vere concentrazioni patrimoniali».
Esempi virtuosi da seguire, su questa strada, ce ne sono. Si pensi a Seci, la holding del gruppo Maccaferri, protagonista di un fortunato processo di aggregazione di diversi marchi, dall'agroalimentare alla meccanica fino al settore immobiliare. Oppure all'esperimento che ha coinvolto la filiera della robotica bergamasca e bresciana lungo l'asse del Kilometro Rosso che corre parallelo all'autostrada A4. O ancora alla Ht Mir di Sondrio, risultante dell'accorpamento di tre marchi operanti nel settore delle presse per materie plastiche e alla torinese Fmt, frutto dell'unione fra le Officine meccaniche Favretto e Maccanodora, primo esempio italiano di aggregazione fra aziende produttrici di macchine utensili, robot e automazione. «Una strada, quest'ultima, che molti altri dovrebbero percorrere per continuare a competere sui mercati globali - commenta Giancarlo Losma, presidente di Losma Spa e numero uno di Ucimu, l'unione delle aziende costruttrici di macchine utensili -. Come associazione stiamo cercando di favorire qualsiasi forma di contatto fra aziende, da semplici accordi fino a patti in deroga. Serve però un segnale deciso da parte dell'Esecutivo: chiediamo con forza - conclude - la defiscalizzazione delle plusvalenze sulle aggregazioni».
A spingere sulla risorsa manageriale per pilotare futuri processi di aggregazione è invece Stefano Zapponini, vicepresidente dell'Unione degli industriali romani, secondo cui «un dirigente proveniente da una grande azienda può fare la fortuna di una Pmi poiché è abituato a ragionare in un'ottica di filiera. In molti casi ha già in tasca la soluzione per un'azienda che vuole stringere alleanze. Da noi - continua - non c'è cultura dei private equity che possono supportarti. Nelle banche non c'è chi sa leggere un piano d'aggregazione. Eppure gli istituti di credito posseggono una quantità gigantesca di informazioni sullo stato di salute delle imprese: potrebbero essere benissimo loro - avanza - a indirizzare due soggetti verso l'aggregazione».
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«LE AGGREGAZIONI? UNA NECESSITÀ»


Il dibattito sulle concentrazioni
Sul Sole 24 Ore di venerdì 19 giugno è stata pubblicata l'intervista a Enrico Frigerio, presidente di Assofond e a.d. della bresciana Fonderia di Torbole, secondo cui «l'unica via d'uscita dalla crisi è quella di abbandonare i personalismi che caratterizzano il mondo delle Pmi made in Italy e abbracciare con convinzione la strada delle aggregazioni di filiera».

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