Cristina Casadei
Stipendi dei dirigenti, si cambia. Basta al predominio del fisso sul variabile. Con una certa dose di coraggio, vista la fase che stiamo vivendo, i manager chiedono che venga aumentata la quota del variabile che «significa valutazione sui risultati e premi alla meritocrazia», dice Claudio Pasini, il presidente di Manageritalia, l'associazione che riunisce i manager dei servizi. E poi basta «con la discrezionalità nella definizione dei meccanismi premianti, è arrivata l'ora di introdurre programmi di valutazione formali», dicono i manager.
I capi, insomma, si mettono in discussione. Il secondo rapporto dell'Osservatorio manageriale Manageritalia in collaborazione con Od&M ha messo in luce che oltre la metà delle aziende (51%) del terziario non ha stanziato risorse per aumenti di stipendio ai manager oltre a quelle già previste dai contratti nazionali, mentre il 18% ha previsto un aumento ma solo rispetto alla parte fissa. Gli stipendi sono fermi, mentre l'attenzione al mantenimento del fatturato e al contenimento dei costi ha fatto passare in secondo piano le politiche retributive che però «dovrebbero comunque salvaguardare il principio del premio», dice Francesco Taranto, consigliere e membro del comitato delle remunerazioni dell'Eni.
La conferma che le cose stiano andando davvero in questo modo arriva anche da Mario Vavassori, amministratore delegato di Od&M, che invita «le imprese a ripensare il sistema di incentivi in questa fase in cui il business lo consente, in modo tale che quando arriverà la ripresa non si cada nella trappola del ritorno al passato. C'è bisogno di incentivi più finalizzati, molto vicini alle attività che le persone svolgono e con obiettivi che si possano controllare. Senza trascurare il monitoraggio delle performance».
Ciò che più sorprende nei risultati dell'Osservatorio che ha coinvolto quasi 400 imprese, è il fatto che quasi una su cinque non prevede valutazioni delle competenze, mentre il 70% esclude un collegamento tra retribuzione variabile e sistema di valutazione delle competenze. «La gestione dei bonus sembra essere fatta senza preoccuparsi dell'efficacia del progetto, come un'attività che non ha un forte impatto sull'organizzazione – osserva Vavassori –. Il problema è che più le imprese si avvalgono di rapporti informali meno cultura manageriale fanno».
Il meccanismo che «è diffuso soprattutto nelle piccole e medie imprese italiane», spiega Vavassori, si deve al fatto che «le nostre Pmi hanno in genere una struttura padronale – interpreta Taranto –. Questo significa che spesso sono portate al riconoscimento dei premi senza un procedimento di verifica dei risultati perché lo studio del meccanismo sarebbe troppo complesso e costoso. Ma la valutazione dovrebbe essere applicata in modo trasversale a tutte le imprese. Il problema è che un sistema incentivante si può definire tale e quindi può avere degli effetti solo se basato su obiettivi prefissati».
La percentuale massima della retribuzione variabile su quella base rimane molto bassa in Italia al punto che in oltre la metà dei casi è inferiore al 20%, per un'azienda su 5 è compresa tra il 20% e il 30%, mentre solo per il 7% è tra il 40% e il 50% e nel 2% supera il 50%. E questo secondo Pasini è uno dei punti su cui bisogna intervenire. «I dirigenti italiani sono pronti ad andare verso una valutazione basata sui risultati – dice Pasini –. Se si vogliono incentivare le aziende ad andare in questa direzione però sarebbe importante anche il sostegno del governo che potrebbe intervenire attraverso la detassazione di tutta o parte della retribuzione variabile».
La cultura manageriale italiana però ha bisogno di fare un salto di qualità e questo, oltre ai meccanismi incentivanti che necessitano di una revisione, è dimostrato chiaramente dall'approccio al recruitment. I canali maggiormente utilizzati per attirare i dirigenti e i quadri scontano ancora l'influenza della "vecchia maniera". Questo significa che le conoscenze personali sono usate nel 45% dei casi nella grande impresa, nel 59% nella media e nell'80% nella piccola. Percentuali che hanno una gradazione inversa se si prendono le società di head hunting che sono usate nell'86% dei casi nella grande impresa, nel 70% nella media e nel 50% nella piccola.
Questo quadro è in gran parte frutto del fatto che «i dirigenti quando entrano in difficoltà cercano di ricollocarsi attraverso la loro rete di relazioni – osserva Pasini –. C'è anche chi si rivolge a società che fanno ricerca e selezione nella fascia alta del mercato del lavoro ma nel 70% dei casi il nuovo posto i dirigenti lo trovano in virtù dei contatti».
Al giro di boa del 2009 i manager dei servizi sanno che sta per iniziare la parte più difficile del loro anno di lavoro. «Nei primi cinque mesi dell'anno le cessazioni del rapporto di lavoro sono state il 124% in più dell'anno scorso – dice Pasini –, i licenziamenti secchi sono aumentati dell'89%, mentre le vertenze sono raddoppiate. Non stiamo parlando di numeri enormi ma le tendenze sono molto significative per capire che autunno ci aspetta». E preoccupa.
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