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Newsletter del 19 Ottobre 2009

Il rilancio delle Pmi è fatto di capitali

di Gianni Tamburi Le domande che vengono sempre più spesso dagli imprenditori sono tre: quando finirà la crisi; chi ce la fara; che cosa si può fare. Specie ora, dopo il tenue bagliore degli ordini di giugno-luglio, in tanti sono presi da molte incertezze.
Proprio in questi giorni abbiamo messo in fila un po' di numeri sulle imprese italiane che, pur con tutti i limiti delle aggregazioni, possono dare parecchi spunti. La cosa più importante, il loro valore aggiunto, è salito dal 1999 al 2008 del 33%. Un ottimo dato specie se lo si paragona a quello dei maggiori gruppi, che si posizionano al 15%. Nello stesso periodo l'aumento dell'export delle medie imprese è stato dell'85%. Molto più basso quello dei gruppi più grandi. Nel periodo 2000-2008 gli azionisti delle imprese private italiane (campione R&S) hanno prelevato dalla casse delle loro aziende circa 37 miliardi di euro, ovviamente al netto degli aumenti di capitale effettuati. Nelle sole medie imprese il prelievo è stato di quasi 3 miliardi, ma anche qui prelievo è stato, non investimento. Ciò ha fatto si che gli oneri finanziari rispetto al margine operativo netto crescessero, nel solo arco temporale 2004-2008, dal 13 al 18%.
Per fortuna il rapporto tra patrimonio e debito delle stesse medie imprese è rimasto piuttosto equilibrato perchè, a fine 2008, fatto 100 l'attivo, lo stesso era finanziato da 49 di equity e 44 di debito. Tutte le imprese private invece avevano - purtroppo - 31 contro 58. Stringendo il raggio d'analisi e prendendo le 170 small e mid cap italiane quotate in borsa si nota che l'attuale capitalizzazione è di circa 31 miliardi a fronte di un patrimonio netto di 36 e di debiti finanziari netti per 24. Sul margine operativo lordo del 2008 il debito finanziario è poco più di 4 volte.
Sul consensus dei dati previsionali 2009 tale rapporto si avvicina a 4,5. Indubbiamente un livello di guardia. Da questi dati emerge con chiarezza che i soci delle imprese private italiane hanno estratto molto, troppo denaro dalle rispettive aziende. Per fortuna - specie sulle aziende definibili medie - il prelievo è stato limitato e la struttura patrimoniale è oggi ancora relativamente equilibrata. Però siamo veramente al limite e se si considera che i dati di consensus previsionale sono assai spesso ottimistici, potremmo essere, per molte singole aziende, al di la di un ragionevole limite. La cosa da fare è pertanto assai semplice: avere una visione chiara del futuro della propria azienda, armarsi di coraggio e rimettere in azienda - o mettere, per i tanti che non hanno estratto un soldo - tutti i denari che servono per accelerarne il rilancio. È chiaro che ciò potrà determinare scelte impopolari a livello familiare però, se si vuole veramente sostenere la propria impresa, è l'unica e la migliore strada. Cosa ci si deve fare con quei soldi? Ancora più semplice, innanzitutto sostenere il capitale circolante che sta soffrendo come forse non si era mai neanche immaginato, poi ripartire con gli investimenti per lasciare al palo i concorrenti più fragili, infine prepararsi ad effettuare acquisizioni specie di competitor indebitati e non in grado di reagire.
Si potrà osservare che il gap valutativo tra compratori e venditori è grande, per cui di acquisizioni non se ne riesce a fare. È possibile, ma c'è una variabile che si chiama banca. Con migliaia di società in default è infatti la banca finanziatrice che deve armarsi di pazienza e se del caso cercare di pilotare le aziende più indebitate verso quelle patrimonialmente più forti. Nell'interesse di tutti.
In fondo gli imprenditori e i fondi che si sono indebitati troppo hanno abdicato al loro ruolo, almeno in parte, e devono prenderne atto. Le banche più efficienti e con le idee più chiare sono pertanto in grado di spingere verso aggregazioni virtuose. Sempre se vorranno farlo e se decideranno di rinunciare a qualche punto percentuale di "teorico" spread per partecipare a dei veri processi di politica industriale. Tra chi chiede una nuova Iri e chi pretende moratorie a pioggia, se si vuole, c'è ancora un modo sano di fare impresa e di fare banca che può far crescere le nostre – tante – multinazionali tascabili al rango di multinazionali vere.
Fondatore di
Tamburi Investment Partners

 
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