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Newsletter del 26 Aprile 2010

Italia a corto di manager: pochi e troppo vecchi

PAGINA A CURA DI
Massimiliano Del Barba
Pochi, soprattutto maschi e non troppo giovani. Almeno rispetto alla media europea. Non è un quadro confortante quello che emerge dall'ultima ricerca di Manageritalia sulla consistenza delle posizioni executive nell'industria e nel terziario italiano. Un quadro che relega il nostro Paese alle ultime posizioni a livello europeo e che restituisce un'immagine di arretratezza rispetto al mercato del lavoro di Germania, Regno Unito e Francia a causa della spiccata frammentazione della base produttiva, della notevole ampiezza del cuneo fiscale e delle perduranti difficoltà di avanzamento di carriera che ancora incontrano donne e under 40. Una fotografia solo in parte ridimensionata dal fatto che questi numeri scontano una struttura produttiva per lo più dominata dalla presenza di pmi.
«La crisi - spiega il presidente di Manageritalia, Claudio Pasini - non ha fatto che amplificare un trend ormai decennale, poiché le multinazionali che operano in Italia in un'ottica di riduzione dei costi stanno concentrando le cariche dirigenziali di più alto livello nei propri headquarters, spesso posizionati in Inghilterra o in Germania, lasciando sguarnite le filiali considerate periferiche». Data la struttura delle attività produttive, contraddistinta dalla presenza di numerose aziende di medio-grande dimensione, nonché la forte propensione a investire nelle alte professionalità, il paese europeo con la maggiore incidenza di manager si conferma infatti la Gran Bretagna, dove se ne contano 15 per ogni 100 dipendenti, seguito dall'Irlanda (10,3%), dalla Finlandia (7,6%) e dall'Olanda (7,4). A grande distanza, con un'incidenza appena superiore al 2%, l'Italia occupa la terz'ultima posizione in graduatoria, precedendo di pochissimo Grecia e Portogallo. «Nella miriade di piccole e piccolissime imprese operanti per lo più nei settori tradizionali a basso valore aggiunto che compongono il tessuto produttivo italiano - prosegue Pasini - ancora stenta a farsi largo la consapevolezza dei benefici che la presenza di un executive è in grado di apportare all'organizzazione interna. Inoltre, l'elevato carico di oneri fiscali e contributivi scoraggia i piccoli e medi imprenditori a fare un investimento in questo senso».
Secondo Eurostat, i dirigenti italiani non raggiungono quota 300mila e, di questi, la maggioranza è impiegata nella pubblica amministrazione, nel servizio sanitario nazionale e nella scuola (sono 171mila, contro i 125 presenti nel settore privato). Si tratta per lo più di maschi e di professionisti che hanno raggiunto la cinquantina: «Da noi - sottolineano da Manageritalia - l'età per l'accesso alla dirigenza è posticipata di circa quattro anni rispetto alla media europea, mentre le donne fanno ancora fatica ad accedere ai piani più alti delle gerarchie aziendali poiché in Italia mancano quei servizi che aiutano una professionista nella gestione di figli e genitori».
Ultimamente qualcosa sembra però essere cambiato. «La crisi - ricorda Pasini - ha riportato sul mercato del lavoro una serie di manager espulsi dalle grandi aziende in ristrutturazione. Professionisti di grande esperienza e le Pmi più attente non si stanno certo facendo scappare l'occasione di approfittare della disponibilità di tali conoscenze». Una tendenza rilevata anche dalle società di head hunting: «Molti dirigenti espulsi dalle multinazionali - conferma William Griffini, a.d. della Carter & Benson - vedono come un'allettante prospettiva il riposizionamento in realtà di più piccola dimensione che vogliono riorganizzare le proprie competenze in vista di un lancio sui mercati internazionali, magari accettando compensi anche del 20-30% inferiori ai normali standard. Si tratta di un'occasione per mettersi alla prova e, soprattutto, per non rimanere troppo tempo al di fuori del mercato». Nell'ultimo rinnovo contrattuale di categoria si fa esplicito riferimento a questa possibilità: per facilitare la ricollocazione e non disperdere un importante patrimonio di know how, un dirigente over 50 oggi ha infatti la possibilità di essere assunto da un'azienda al minimo sindacale (cioè 49mila euro lordi) ma con una parte variabile pari al 50% del fisso. «In questo modo - commenta Pasini - si è tentato di raggiungere un compromesso fra domanda e offerta, con l'idea di incoraggiare anche le aziende meno capitalizzate a scommettere sulla propria competitività».
Un rimescolamento delle carte in gioco che potrebbe avvantaggiare anche i dirigenti più giovani. Nel terziario e in particolare in settori come l'Ict già da qualche anno si nota un abbassamento del l'età media, grazie soprattutto al l'introduzione nel contratto di particolari sgravi contributivi per la nomina di executive under 45: «Oggi - conclude Pasini - il mercato post-crisi impone alle aziende cambiamenti repentini che abbisognano di competenze fresche e subito disponibili. Una buona opportunità per chi è giovane e, quindi, anche più flessibile e pronto a reinventarsi».
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