MILANO
L'ultima in ordine di tempo è stato At&T, il colosso della telefonia mobile americano. Che una settimana fa ha "perso" i dati personali di tutti gli utenti americani dell'iPad di Apple: quasi due milioni di nomi, cognomi, indirizzi e numeri di telefono. È la cattiva abitudine di non prestare sufficiente attenzione o di non tutelare abbastanza i dati dei propri dipendenti e clienti: trasversale alle aziende di tutto il mondo, come scopre una nuova ricerca.
Anche in Italia, sostiene lo studio realizzato da Accenture intervistando 15mila consumatori e 5mila dirigenti d'azienda assieme al Ponemon Institute in 19 paesi, i consumatori sono molto preoccupati per la riservatezza dei loro dati personali. In particolare, nel nostro Paese l'86% dei consumatori ritiene importante la sicurezza e la riservatezza dei propri dati personali (sono il 70% come media mondiale) e il 62% è molto scettico riguardo ai meccanismi messi in piedi dalle aziende per garantire la riservatezza di quei dati (il 42% nel resto del mondo). Gli stessi dirigenti delle aziende ammettono di aver perso dati sensibili negli ultimi due anni (il 58% a livello generale, il 62% in Italia), nonostante tre quarti delle aziende ritengano di disporre di politiche adeguate per la tutela dei dati personali. In Italia, record mondiale, il 90% delle aziende sente come proprio dovere prendere misure per tutelare i dati dei clienti. Ma il 62% dei dirigenti ammette che la perdita di dati personali è un problema ricorrente.
Questa sorta di "buco nero" delle informazioni, in cui rientrano veri e propri furti, ma anche semplici smarrimenti di dati che vanno dispersi magari smarrendo una chiavetta di memoria o a causa del furto di un Pc portatile, costituiscono per molti un mistero. Com'è possibile che aziende, banche, assicurazioni, addirittura governi, possano perdere centinaia di migliaia di dati personal? O che quantomeno non sappiano più darne conto, con le informazioni "perse" e forse cadute nelle mani sbagliate, o forse cancellate per sempre con la rimozione maldestra di un disco rigido o la cancellazione di una cartella preziosa?
Secondo la ricerca di Accenture, una risposta esiste. Quasi la metà degli intervistati (46-47%) nelle aziende ritiene che non sia importante limitare la raccolta o la condivisione dei dati personali sensibili dei clienti, che non serva tutelare il diritto alla privacy dei consumatori, o evitare il trasferimento dei dati personali in paesi con leggi sulla privacy inadeguate o prevenire i reati informatici contro i consumatori così come la perdita e il furto dei dati. La maggior parte dei problemi arriva infatti dall'interno: i dati si perdono a causa di un errore di sistema (57% delle volte), di negligenza o per errore dei dipendenti (48%), mentre i crimini sono responsabili di meno del 18% della scomprsa dei dati.
Questo atteggiamento di "leggerezza" da parte delle aziende internazionali, con dirigenti che non prestano attenzione al rispetto e alla tutela delle informazioni sensibili dei dipendenti, cozza con l'attitudine globale dei consumatori a ritenere che i loro dati siano importanti e quindi meritevoli di un trattamento adeguato: nel mondo il 53% dei consumatori ritiene – secondo la ricerca Accenture – di aver diritto di sapere come vengono usati i loro dati personali, potervi accedere ed eventualmente chiederne la rimozione. E, alla domanda su chi abbia la responsabilità maggiore nell'assicurare una tutela adeguata dei dati, il 41% dei consumatori indica la pubblica amministrazione, seguita dalle aziende (21%), dall'individuo (19%) oppure da tutti quanti di concerto (20%).
© RIPRODUZIONE RISERVATA