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Newsletter del 20 Settembre 2010

Il Fondo Pmi sale a 1,2 mld
di Jacopo Giliberto


Al via il fondo per far crescere le piccole imprese. La Banca d'Italia ha autorizzato martedì la società di gestione e il regolamento del fondo di investimento costituito da Tesoro, Cassa depositi e prestiti, Abi, Confindustria e dalle principali banche italiane per sostenere i processi di patrimonializzazione delle piccole e medie imprese italiane. Piccole imprese deboli e sottocapitalizzate, inadeguate per la competizione internazionale, come ha ricordato ieri Giulio Tremonti durante il meeting di Cl a Rimini, ma soprattutto soffocate – rileva uno studio della Das (Alleanza Toro) – dai ritardi dei pagamenti: l'Italia è la peggiore d'Europa con sei mesi di ritardo nel saldo delle fatture, soprattutto da parte delle amministrazioni pubbliche distratte, farraginose e con le casse sempre più vuote per le politiche di contenimento della spesa (è invece di 3 mesi la media dei ritardi dei pagatori privati).
Rispetto al progetto iniziale, si è allargata la partecipazione del sistema bancario italiano al fondo salva-pmi, e la dotazione del fondo sale così da 1 a 1,2 miliardi di euro. «Oltre a Intesa Sanpaolo, Unicredit e Monte dei Paschi di Siena – dice il ministero – entrano nel fondo un ampio gruppo di banche popolari per complessivi 200 milioni di euro, così suddivisi: 100 milioni da parte dell'Istituto centrale delle banche popolari e 20 milioni ciascuno da parte del Credito valtellinese, della Banca popolare di Milano, della Banca popolare dell'Emilia Romagna, di Ubi e della Banca di Cividale».
Con il via libera della Banca d'Italia, la Sgr può aprire la fase di raccolta fondi: successivamente è previsto un nuovo fund raising per consentire la sottoscrizione ad altri investitori istituzionali, come le banche di credito cooperativo e gli istituti di credito privati.
Il fondo nasce per investire in aziende con fatturato tra i 10 e i 100 milioni con una vocazione alla crescita all'estero e punta a utilizzare il 50% delle risorse disponibili per entrare direttamente nel capitale delle imprese, mentre il restante 50 per cento andrà ad alimentare fondi di private equity di piccole dimensioni che investono in pmi.
Le piccole imprese sono ancora troppo deboli e, insieme con i liberi professionisti, sono strangolate dai crediti non riscossi con tempi di pagamento che si allungano sempre di più, facendo del nostro il peggiore paese d'Europa. La Das, compagnia specializzata nella tutela legale di Alleanza Toro, ha analizzato i dati sui tempi di pagamento alle pmi nel nostro Paese in occasione del lancio sul mercato di Difesa Business, una linea di servizi di assistenza e consulenza legale per la gestione aziendale.
In Italia una piccola azienda o libero professionista per recuperare dalla pubblica amministrazione i soldi di servizi e lavori svolti deve attendere mediamente più di sei mesi (186 giorni inclusi quelli di ritardo) contro i 24 giorni appena di Finlandia e Estonia, i 33 di Lettonia, i 35 della Repubblica ceca, i 36 della Germania o i 39 giorni delle Isole Fær Øer. Meglio dell'Italia, con un mese in meno di attesa, ci sono Grecia e Spagna. Solo nell'ultimo anno la pubblica amministrazione italiana ha allungato in media di un mese il saldo delle fatture rispetto ai termini previsti dai contratti. La deputata Simonetta Rubinato, del Pd, ha commentato chiedendo che il governo intervenga: «È inaccettabile che la pubblica amministrazione di un paese che vuol competere con gli stati più avanzati paghi i propri fornitori con sei mesi di ritardo».
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