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Newsletter del 25 Ottobre 2010

Maxi-piano Ue per accelerare sull'innovazione

di Antonio Tajani

Per anni ci siamo illusi che delocalizzare settori produttivi nei Paesi con manodopera a basso costo comportasse rischi limitati, preferendo concentrarci piuttosto sui servizi, sulle tecnologie e sulla finanza. Un approccio che si è rivelato miope e nocivo per l'economia europea.
Oggi, alla luce della mondializzazione dei mercati e degli effetti della crisi economica dell'ultimo biennio ci troviamo a fare i conti con la necessità di ingranare la «marcia indietro», rimettendo al centro l'economia reale, ossia la nostra base industriale, le nostre imprese, le nostre competenze.
L'industria è un pilastro insostituibile per la crescita e la competitività del sistema Europa. Una colonna portante che deve, tuttavia, affrancarsi e svincolarsi dal vecchio modo di intendere e fare industria.
Scarsa competitività, bassi livelli di produttività e incapacità di creare nuova occupazione, sono il risultato infatti di scarsi o inesistenti investimenti in innovazione. Perchè non c'è crescita e competitività senza innovazione.
Per questo tra gli obiettivi di «Europa 2020», figura l'incremento degli investimenti in «Ricerca & sviluppo»: il 3% del Pil europeo dovrà essere investito in questo settore. Attualmente siamo fermi al 1,9%, contro il 2,6% degli Stati Uniti e il 3,4% del Giappone.
In tale contesto s'inserisce la comunicazione su «L'Unione per l'Innovazione», di cui sono responsabile assieme alla collega Màire Geoghegan-Quinn, e che la Commissione europea presenterà la settimana prossima. Iniziativa che sto portando avanti di pari passo con quella sulla Nuova politica industriale, la cui adozione è prevista entro fine ottobre.
Le due strategie sono, insieme, le facce della stessa medaglia. Basti pensare che, secondo i nostri studi, il solo raggiungimento a livello europeo dell'obiettivo del 3% di investimenti in ricerca e sviluppo comporterebbe un guadagno netto pari al 4,7% del Pil europeo e più di 3 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2025.
Al di là dei numeri, per quanto rappresentativi, l'obiettivo dell'«Innovation Union» è di proporre un concetto d'innovazione nuovo. Più ampio.
Innovare, oggi, non significa concentrarsi unicamente sulla tecnologia ma guardare anche ad altri modelli d'innovazione: di concetto, sociale, di design, legata ai servizi, al branding o alle industrie creative e culturali.
Ritengo sia quasi superfluo approfondire quanto questo nuovo approccio sia importante in particolare per l'Italia, che eccelle nel design e nella moda grazie all'innovazione creativa delle proprie industrie.
Per non parlare poi dell'importanza dell'innovazione nel settore dei servizi, offerti ad esempio dalle tante piccole e medie imprese che operano nel comparto del turismo.
Tra le diverse misure proposte nel documento che verrà adottato nei prossimi giorni, figurano in primo piano la razionalizzazione e la semplificazione dell'accesso agli strumenti finanziari e ai programmi di finanziamento europei, con una particolare attenzione alle esigenze delle piccole e medie imprese (Pmi).
A tale proposito, la settimana scorsa abbiamo lanciato a Bruxelles lo Sme (Small medium enterprises) finance Forum il cui obiettivo è quello di studiare, assieme ai principali attori del settore, soluzioni concrete al problema dell'accesso al credito.
Inoltre, sono convinto che un importante contributo in tal senso sarà presto fornito dall'accordo recentemente raggiunto sulla direttiva sui ritardi di pagamento, che prevede che le amministrazioni pubbliche debbano pagare fornitori di beni e servizi entro 60 giorni. Scaduto questo termine si applicherà una penale dell'8%.
Questo provvedimento consentirà di mettere in circolazione una liquidità pari a circa 180 miliardi di euro. Dando così nuovo ossigeno a quelle Pmi che rischiano di soffocare sotto il peso della crisi economica e dei ritardi di pagamento e che, proprio per la mancanza dei finanziamenti, non possono investire in innovazione.
Infine, per facilitare e potenziare la catena completa del processo d'innovazione, che va dalla ricerca primaria che si fa nelle Università o nei laboratori, fino alla produzione industriale e all'immissione dei prodotti sul mercato, la comunicazione proporrà di puntare sui cosiddetti «Partenariati dell'innovazione».
Perchè innovare significa contribuire in maniera decisiva all'evoluzione della società e dell'economia, apportando nuove soluzioni in grado di rispondere in modo rapido ed efficace alle principali sfide sociali. Come ad esempio il cambiamento climatico, l'aumento demografico, l'invecchiamento della popolazione e la scarsità di materie prime.
Quest'ultima è una sfida particolarmente rilevante per le nostre imprese. Qualsiasi distorsione nell'approvvigionamento di materie prime comporta infatti ricadute – non solo per la competitività degli specifici comparti industriali – ma in tutti i settori a valle della catena di valore. Ecco perchè, oltre a migliorare la sicurezza dell'approvvigionamento, nel medio e lungo termine, diventa indispensabile puntare su ricerca e innovazione per sviluppare nuove attività di sostituzione, recupero e riciclaggio delle materie prime.
I nostri concorrenti hanno già conquistato posizioni di forza sulle principali fonti di approvvigionamento. Stati Uniti e Giappone, già da tempo, hanno delineato una loro strategia e piani di sostituzione per le materie prime più sensibili che, spesso, sono controllate da un solo Paese o da una limitata cerchia di Stati.
Solo attraverso una strategia coordinata a livello europeo che punti su ricerca e innovazione, potremo trovare risposte a questa e alle altre principali sfide sociali con le quali l'Europa si confronta.

Vicepresidente della Commissione europea - Responsabile per l'industria e l'impresa

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