PAGINA A CURA DI
Massimiliano Del Barba
Avanzate conoscenze tecnico-gestionali, esperienza in campo internazionale ma, soprattutto, quella giusta dose di sensibilità psicologica indispensabile per essere accettati e ascoltati all'interno dell'organizzazione aziendale. Se è vero che per tornare a essere competitive sul mercato globale le piccole e medie aziende italiane dovranno uscire dalla sottocapitalizzazione che le caratterizza per abbracciare nuovi modelli incentrati sulla cooperazione di sistema, in un futuro sempre più prossimo il pulviscolare ed eterogeneo tessuto imprenditoriale avrà bisogno di una nuova classe di professionisti in grado di fare da collettore delle singole esperienze imprenditoriali e dare alla luce inediti progetti industriali al fine di riportare il made in Italy sulle piazze dei mercati emergenti.
«Con l'articolo 3 del decreto Incentivi convertito in legge nell'aprile dello scorso anno - spiega Giorgio Ambrogioni, presidente di Federmanager - è stata introdotta in Italia la disciplina del contratto di rete: una novità significativa che può costituire uno strumento importante di crescita e innovazione delle imprese, soprattutto piccole e medie. Per passare dalla teoria alla pratica è però necessario che le aziende che decidono di entrare in rete individuino dei profili specifici capaci di coordinare le varie anime imprenditoriali e convogliare le spinte dei singoli in un unico progetto vincente. In una parola, stiamo parlando del manager di rete».
Un compito certo non facile, dato il tradizionale attaccamento dei piccoli imprenditori alle proprie aziende e la scarsa cultura manageriale che ancora domina il panorama manifatturiero italiano. «Si tratta di una importante sfida - prosegue Ambrogioni - poiché in gioco c'è la competitività dell'intero sistema industriale nazionale, che è stato messo a durissima prova dalla crisi mondiale. La rete rappresenta il migliore strumento per aumentare la presenza sui mercati globali di interi settori manifatturieri, a patto tuttavia che gli imprenditori capiscano l'importanza della collaborazione. Quello che stiamo cercando di fare, in altre parole, è creare dal nuovo una figura manageriale in grado di conquistarsi la fiducia degli imprenditori per portare nel mondo quelle aziende che fino a pochi anni fa si accontentavano di presidiare i mercati domestici».
Nulla a che vedere, tuttavia, con il tradizionale modello aggregativo: «Il principale limite dell'M&A in Italia è sempre stato l'impossibilità di convincere l'imprenditore self made man a cedere parte delle azioni della «sua creatura» in cambio di un non meglio definito vantaggio futuro o, peggio, futuribile. Con i contratti di rete, invece, le compagini azionarie non vengono toccate e la natura familiare delle Pmi viene preservata. Detto questo, affinché la rete d'imprese si trasformi in un trampolino per l'internazionalizzazione dei nostri prodotti, è però necessario delegare l'attività organizzativa a personaggi competenti, capaci di fare squadra e dotati di una visione complessiva di medio-lungo termine».
Il passaggio fondamentale sarà allora la cessione, da parte dei consigli d'amministrazione, delle attività strategiche di governante a un unico soggetto universalmente riconosciuto e stimato per le sue capacità. «Quello della scarsa presenza di manager nelle nostre Pmi non è solo un problema culturale, è anche economico. Spesso infatti le imprese sono troppo piccole per poter permettersi di stipendiare un middle executive che modernizzi i sistemi di gestione interni. Poter contare su un manager in condivisione potrebbe aiutare a superare anche questo non secondario gap». Ma quali dovranno essere le caratteristiche del manager di rete? «Stiamo parlando di un mestiere tutto da inventare - conclude il numero uno di Federmanager - e per questo stiamo mettendo in campo programmi formativi ad hoc. Pensiamo che la figura più adeguata sia quella di un executive di lungo corso, magari con alle spalle esperienze in grandi aziende internazionalizzate e fuoriuscito dal mercato del lavoro a causa della recente crisi. Ma, principalmente, siamo alla ricerca di uomini capaci di interfacciarsi con una classe imprenditoriale non sempre giovanissima e disposta a cedere a uno sconosciuto il comando della stanza dei bottoni».
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