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Newsletter del 14 Dicembre 2010

«Le imprese italiane puntino in America sulla green economy»
di Paolo Bricco

«Per noi l'Italia è importante. Siete l'undicesimo investitore europeo e il diciassettesimo negli Stati Uniti. Nel 2009 avete contribuito ai nostri investimenti diretti esteri con 9,7 miliardi di dollari. E nel 2007, ultimo anno di cui abbiamo i dati disponibili, sappiamo che avete creato da noi 115mila posti di lavoro». Aaron Brickman è l'uomo di Obama che deve convincere le imprese straniere ad aprire più sedi e più impianti negli Stati Uniti. Brickman è il direttore di Invest in America, l'agenzia fondata nel 2007 che deve fare da mediatore fra queste aziende e il mercato statunitense proponendo servizi e indicando opportunità. Ieri era a Milano, impegnato in un road show per convincere gli imprenditori italiani che, anche grazie a un euro sempre più pesante rispetto al dollaro, potrebbero pensarci su. La sua è una posizione tecnica, ma anche politica, data l'importanza che ha, per l'attuale amministrazione, l'obiettivo di "rimanifatturizzare" una economia che, in virtù della globalizzazione, ha perso molti bracci produttivi.
Dagli anni Settanta l'America è un paese con sempre meno fabbriche. Finanza e servizi sono la parte prevalente. Quanto puntate sulle imprese straniere per rafforzare il manifatturiero?
Nonostante tutto il manifatturiero resta la voce principale dell'economia americana, sia in termini di occupazione che di Pil. È anche quella che, da sempre, attrae più investimenti diretti esteri di qualunque altro comparto, con un ammontare del 34% dello stock totale di investimenti diretti esteri nel 2009 (circa 790 miliardi di dollari). Le società danno molto rilievo alla capacità manifatturiera americana e continuano a investire in questo settore, soprattutto in virtù della nostra leadership tecnologica.
In che modo l'aumento del debito pubblico americano, e le sue conseguenze ipotetiche sull'incremento delle tasse o dell'inflazione, potrebbero indebolire la capacità di attrarre in America gli investimenti produttivi stranieri?
Le ragioni che inducono a investire negli Stati Uniti non cambiano in maniera troppo repentina e drastica da un anno all'altro. E questo vale anche nei periodi di difficoltà economica mondiale. Gli Stati Uniti restano la più grande economia e, con una popolazione di oltre 310 milioni di persone, un ampio mercato di consumatori. E non va dimenticato che rimaniamo, sul lungo periodo, un caso unico fra i paesi sviluppati per il più alto tasso di crescita della popolazione. Inoltre, siamo ancora leader nelle tecnologie e nella qualità della manodopera. Non a caso, al di là della contingenza, attraiamo più investimenti di tutti: solo nel 2009, 130 miliardi di dollari.
L'industria italiana è fondata soprattutto sulle Pmi, attive in settori maturi come la meccanica. Obama punta sulla green economy. I suoi investimenti avranno ricadute sulle Pmi americane e straniere?
Ci sono notevoli opportunità nelle tecnologie pulite per le imprese di ogni dimensione. Washington e i singoli stati hanno creato strumenti per aiutare questo settore a crescere attraverso crediti di imposta e altri incentivi finalizzati a incoraggiare investimenti e innovazione. Invest in America, con la sua struttura e il suo portale, è uno dei mediatori per le imprese italiane interessate a venire da noi.
Le nostre università faticano a trasformare la ricerca in prodotti industriali. Il vantaggio competitivo americano è invece rappresentato dal passaggio di molte start-up dall'accademia al mercato vero. Nei vostri programmi contemplate lo sviluppo di un rapporto più stretto fra i nostri e i vostri atenei?
Sarebbe il passo successivo. La vostra manifattura ci interessa molto. E, in una ottica di integrazione ancora crescente fra i sistemi economici, sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione anche fra sistemi educativi. Questo naturalmente non riguarda soltanto i rapporti Usa-Italia, ma vale pure per la più ampia collaborazione fra noi e l'Unione europea nel suo insieme.
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