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Newsletter del 24 Gennaio 2011

Nella corsa allo spazio c'è un posto per le Pmi
di Nino Ciravegna

Una piccola impresa di Torino fa milioni di calcoli scientifici per simulare le temperature estreme di Marte. A Pozzuoli una pmi progetta e costruisce microsistemi per la stazione spaziale, mille fotogrammi al secondo, compressi e inviati a terra. A Bolzano due fratelli hanno messo a punto un sistema per i grandi telescopi terrestri che migliora di tre volte le immagini dello spazio profondo.
Nomi sconosciuti al grande pubblico, apprezzati dagli addetti ai lavori impegnati nella corsa allo spazio, sempre di attualità: il 2011 è iniziato con l'astronauta italiano Paolo Nespoli che resterà in orbita per sei mesi. La corsa allo spazio riflette la globalizzazione: la classica sfida Usa-Urss, con l'Europa a fare da terzo incomodo, si è allargata a nuovi protagonisti, ora anche Cina e India progettano missioni sulla Luna o su Marte.
I progetti si moltiplicano, il business cresce, anche per le piccole imprese italiane. In operazioni che richiedono miliardi di dollari c'è sempre (o quasi) un po' di made in Italy, anzi di "made in Pmi". Attrezzature, sistemi o elaborazioni sviluppate in aziende che hanno un'altissima specializzazione pur con fatturati di pochi milioni di euro. Che hanno saputo trovare un loro spazio anche senza poter contare, come i concorrenti Usa, su finanziamenti in milioni di dollari per la ricerca e lo sviluppo. Piccole imprese che collaborano con i colossi del settore, come Thales Alenia, concentrate per lo più in Piemonte, Lombardia, Lazio, Campania e Puglia. Che spesso lavorano direttamente con l'Asi, l'agenzia spaziale italiana, o con l'Esa, l'agenzia europea. Alcune anche con la mitica Nasa. «Le piccole imprese in questo settore – spiega Gianfranco Chiocchia, direttore del Dipartimento di ingegneria aerospaziale del Politecnico di Torino – sono molto vivaci, hanno forti legami con la ricerca degli atenei. Ma per valorizzare il loro ruolo serve un ulteriore salto di qualità: non basta più fornire un pezzo, bisogna avere presente il quadro generale, capire in quale contesto si inserisce».

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«Nel nostro settore non si improvvisa. Ci vuole tempo per le certificazioni necessarie per lavorare con Esa o Asi - spiega Luigi Iavarone, presidente del consorzio Sam, che raggruppa una decina di imprese della Campania - ma le eccellenze non mancano. Lo dimostra il continuo shopping dei grandi gruppi tedeschi e francesi». La Campania è uno dei maggiori centri italiani per l'industria dello spazio, il 12 ottobre 2012 Napoli ospiterà il congresso mondiale dell'astronautica. Un'occasione straordinaria per mettere in vetrina anche le storie e le esperienze delle pmi (letteralmente) extraterrestri.

BLUE ENGINEERING

Danilo Lazzeri

Simulazioni virtuali per il gelo estremo di Marte

È una missione Nasa-Esa, nel 2016 un sistema robotizzato calerà su Marte, farà analisi e raccoglierà minerali utilizzando uno speciale martello-perforatore. In vista della missione sono state simulate le condizioni più estreme in cui il martello dovrà operare, la temperatura giocherà un ruolo importante: l'esposizione al Sole si misura in centinaia di gradi, nella notte marziana ci si avvicina allo zero assoluto. È fondamentale evitare che il metallo si dilati o si restringa, anche di pochi micron, rischiando di ingrippare meccanismi e ingranaggi. L'Esa ha affidato alla Blue engineering di Torino i calcoli matematici per simulare caldo e freddo su Marte, individuando le caratteristiche necessarie perché il martello possa operare correttamente in un ambiente così ostile.
Gli ingegneri e i fisici della pmi torinese sono specialisti nelle temperature cosmiche, l'Esa si è fidata della loro esperienza: Blue engineering ha già effettuato, diversi anni fa, le simulazioni termiche per la cupola centrale della prima stazione spaziale, sottoposta anche in questo caso a grandissimi sbalzi. La cupola ha grandi oblò, con un diametro di 2,5 metri, che si aprono per accogliere le navicelle che arrivano dalla terra: l'oblò deve essere perfettamente sferico, altrimenti è un disastro per astronauti e satelliti. L'esperienza di questi anni ha dimostrato che calcoli e simulazioni scientifiche di Blue engineering hanno funzionato. Da qui la nuova commessa.
Blue engineering è una piccola impresa particolare, non solo per il settore in cui opera. Ha meno di vent'anni, ma non è nata dal classico imprenditore-fondatore che poi passa il comando alla famiglia: è stata avviata da quattro soci, ingegneri e fisici, due provenienti dall'estero. Blue, senza grandi sforzi di fantasia, è la sigla che sintetizza i cognomi di un vercellese, un toscano, un turco e un giordano, laureati al Politecnico di Torino, impegnati nel settore automotive e ferroviario fino al salto imprenditoriale e al business spaziale.
Blue engineering ha 120 dipendenti, di cui il 70% laureati in ingegneria o fisica, «siamo fornitori di servizi dell'ingegno umano - spiega l'amministratore delegato, Danilo Lazzeri -. I clienti ci pongono problemi complessi e noi dobbiamo dare la miglior risposta possibile». Azienda particolare anche per l'internazionalizzazione, sono state aperte sedi a Saint Etienne e Parigi («I francesi sono un po' chiusi, amano avere a che fare con aziende locali, ma devo dire che hanno un ottimo marketing territoriale, fanno ponti d'oro a chi apre un'impresa: dovremmo imparare la lezione») e ad Amman per utilizzare le competenze, e i bassi costi, degli ingegneri locali.
L'azienda opera nello spaziale, nell'automotive, nel ferroviario (che rappresenta in questo momento il settore con sviluppi più promettenti) e nell'aerospaziale. «Siamo partiti con le analisi dei crash test delle auto, poi siamo passati - racconta Lazzeri - alle simulazioni scientifiche per aerei e satelliti, che possono decollare solo dopo avere superato i test virtuali più complessi». Milioni di calcoli per simulare l'impatto di uno stormo su una fusoliera o di un singolo uccello risucchiato in una turbina. O, come detto, "ricostruire" le dilatazioni dei metalli che operano in temperature pazzesche. Con competenze e conoscenze che si trasferiscono da settore a settore: «Dall'automotive abbiamo preso materiali più leggeri per usarli nello spazio, abbiamo trasferito soluzioni sperimentate in ambienti senza atmosfera nel ferroviario o nella difesa».
Un anno fa un salto dallo spazio alla medicina: «Sui satelliti siamo abituati a gestire milioni di informazioni, anche complesse, in spazi ridotti. Noi abbiamo sperimentato, con un interesse che è andato oltre le nostre previsioni, queste soluzioni nei reparti di terapia intensiva, dove i pazienti sono costantemente monitorati da decine di apparecchiature per controlli e analisi. I medici hanno a disposizione singoli risultati senza poter contare su un quadro complessivo. Noi abbiamo messo a punto un sistema che elabora e gestisce questa montagna di dati per sintetizzare una visione d'insieme, indispensabile per corrette diagnosi».
La crisi ha colpito anche calcoli matematici e simulazioni, nel 2009 il fatturato è calato del 20% rispetto ai 9 milioni del 2008, quest'anno si è tornati a livelli pre-crisi, il 2011 «si apre con buone prospettive».
Ma perché Esa o i colossi aerospaziali non fanno direttamente in house calcoli e simulazioni? «Siamo arrivati a un livello tale di specializzazione - risponde Lazzeri - che i grandi gruppi trovano più conveniente l'outsourcing».
Rapporti con il Politecnico? «Ottimi, collaboriamo molto, loro hanno grandi conoscenze nella ricerca di base, noi siamo orientati nella conoscenza applicativa, un'integrazione che funziona, come dimostrano i progetti finanziati anche dalla Regione Piemonte».

TECHNO SYSTEM

1.000 fotogrammi al secondo

Liliana Boccolini

Il sistema immagazzina foto e dati per poi trasmetterli a terra

È un aggeggio grande come due pacchetti di sigarette, dentro sono stipati microprocessori, minitelecamere e tutto quello che serve sul satellite per immagazzinare dati e foto e trasmetterli a terra. È in grado di realizzare mille fotogrammi al secondo, compressi e inviati a scienziati e analisti che studiano la crosta della terra o scrutano lo spazio profondo. Sono prodotti dalla Techno System development di Pozzuoli, una piccola impresa che dal 1977 opera nel settore spaziale. È stata fondata dallo scienziato Luigi Napolitano, considerato il padre-promotore del polo aerospaziale della Campania, e da Rodolfo Monti, altro professore dell'ateneo campano. «Abbiamo cominciato con la ricerca spaziale pura - racconta l'amministratore unico, Liliana Boccolini, vedova di Napolitano - specializzandoci negli esperimenti di microgravità». Nel 1988 l'Esa ha finanziato un sistema made in Pozzuoli, costo un miliardo di lire, realizzato su uno Shuttle della Nasa. Poi è arrivata la specializzazione nell'elettronica spaziale, in particolare nel digital video. «Lavoriamo molto con l'Agenzia europa, operiamo come prime contractor o fornitori di grandi gruppi tedeschi, svizzeri, francesi e danesi. Facciamo tutto in house, progettazione, schede eletroniche, spesso la componentistica la troviamo qui nell'indotto oppure arriva direttamente dagli Stati Uniti».
Techno System ha 15 addetti e si avvale di una ventina di collaboratori esterni di alta specializzazione, opera con 500 metri quadrati destinati alla ricerca e 800 alla produzione. Il giro di affari è stato quest'anno di 3,2 milioni, «non abbiamo particolari problemi di commesse e ordinativi, ma la crisi globale ha dilatato i tempi dei pagamenti: i grandi gruppi spesso scaricano i loro problemi sulle piccole imprese. I pagamenti a 18 mesi rischiano di diventare la norma, ho lavori realizzati nel 2007 che spero mi vengano saldati questa primavera». La signora Liliana è quasi rassegnata: «Con lo spazio non ci si arricchisce. Il maestro di mio marito, il generale Umberto Nobili, me lo diceva sempre: ricordati, con la ricerca non si guadagnano soldi, ma si ricavano grandi soddisfazioni scientifiche».
Ogni lavoro è un lavoro nuovo, ora l'azienda di Pozzuoli sta mettendo a punto un sistema grande come una batteria d'auto con 1.800 microschede elettroniche sempre per la visualizzazione e trasmissione dei dati, destinato alla stazione spaziale internazionale. «Non abbiamo lavoro di routine, ogni volta ripartiamo da zero, per certi versi è gratificante perché non ci si annoia mai, ma dal punto di vista economico è più problematico». È difficile trovare giovani preparati? «Fino a qualche anno fa l'università di Napoli era all'avanguardia, ora ho difficoltà a trovare curriculum adeguati. Abbiamo provato ad assumere ingegneri americani, molto pratici e preparati dal punto di vista tecnico, ma senza visione d'insieme, fondamentale per noi».
Boccolini non si ritiene per nulla svantaggiata di operare in un'area difficile come quella napoletana, ma i problemi, anche se piccoli, non mancano: «Per ospitare un gruppo di tecnici e scienziati svedesi abbiamo dovuto studiare un articolato e complesso itinerario per evitare di passare davanti a cumuli di monnezza. Avvilente per l'azienda e, soprattutto, per il paese».

MICROGATE

Vinicio Biasi

Un cuore altoatesino nei telescopi per le stelle più lontane

Noi profani dello spazio eravamo affezionati al telescopio spaziale Hubble, riparato e aggiornato da astronauti in missioni pericolose. Hubble ci ha fatto vedere stelle mai viste, ha seguito spettacolari splash di comete contro pianeti lontani.
Grandi scoperte scientifiche che ci hanno fatto sognare, fino a quando una piccola impresa di Bolzano ha messo a punto uno standard che, di fatto, ha reso obsoleto il caro Hubble: ora i telescopi terrestri di ultima generazione garantiscono una qualità di immagine almeno tre volte più alta. Qualità impossibile prima perché atmosfera, inquinamento e fenomeni meteorologi impedivano corrette visioni: i raggi luminosi erano deviati, impercettibilmente, deformando le immagini che arrivano dallo spazio.
La Microgate di Bolzano ha realizzato un sistema di ottica adattiva che ha rivoluzionato il modo di guardare le stelle, adottato per la prima volta su un telescopio dell'Arizona, nel 2002, mentre l'ultima installazione, il Large binocular telescope costruito a Mount Graham, Usa, è operativo da metà 2010. «I due specchi principali hanno un diametro di 8,4 metri. Noi abbiamo creato gli specchi secondari di un metro - spiega Vinicio Biasi, presidente della Microgate - che si deformano, a livello di micron, per ricostruire esattamente l'immagine».
Biasi rende tutto molto semplice: «Lo specchio è sottilissimo, 1,8 millimetri, e levita su un campo magnetico prodotto da quasi 700 micro-pistoncini azionati da un supercomputer in grado di elaborare 150 miliardi di operazioni al secondo. Una volta calcolate le distorsioni atmosferiche dei raggi siamo in grado di deformare lo specchio con 70mila micro-movimenti al secondo dei pistoncini».
Non è stato facile imporre questo sistema: «Ci siamo presentati al congresso internazionale delle Hawaii in competizione con un colosso Usa che aveva ricevuto un milione di dollari per studiare nuovi specchi mentre noi eravamo forti, si fa per dire, di un finanziamento pubblico di pochi milioni di lire. A livello scientifico abbiamo prevalso noi, ma la commessa è arrivata solo un paio di anni dopo, il tempo necessario per fare digerire all'Air Force l'idea che il cuore tecnologico del telescopio non fosse made in Usa».
La prossima frontiera? Il sistema dell'ottica adattiva per i megatelescopi di futura generazione, che avranno diametri di 40 metri e più, con costi nell'ordine di un miliardo di dollari: «Lo specchio secondario avrà una superficie di 2,5 metri, serviranno almeno seimila micropistoncini, abbiamo già concluso i progetti preliminari». Anche in questo caso Microgate lavorerà con un team italiano: «Con noi c'è la Ads international, una piccola imprese di Lecco che si occupa della progettazione e produzione meccanica, l'Inaf-Osservatorio astronomico di Arcetri, che coordina lo sviluppo scientifico, e il Politecnico di Milano, responsabile delle simulazioni». Gioco di squadra che dimostra come il made in Italy, se unito, abbia molte carte da giocare.
Microgate è nata quasi per caso, fondata da due fratelli molto diversi, Roberto, geniale ingegnere con mille interessi, e Vinicio, che ha dato veste d'impresa e gestione manageriale alle intuizioni scientifiche: «Abbiamo cominciato con lo sci: per controllare i tempi si dovevano tirare i cavi tra la partenza e il traguardo, attività complessa e onerosa. Mio fratello ha avuto l'idea di usare un sistema radio. Per alcuni anni abbiamo lavorato nei ritagli di tempo, poi il timing sport è decollato, ora i nostri sistemi sono utilizzati al Tour de France, nelle gare di nuoto e in moltissimi sport professionali. Da lì ci siamo allargati nel settore della preparazione degli atleti, con sistemi adottati dai principali team italiani ed europei».
Nel frattempo Roberto approfondiva, durante il suo dottorato al Politecnico di Milano, la teoria dell'ottica adattiva, sviluppata inizialmente per l'industria della difesa, per i telescopi. Microgate ha un fatturato di 7,5 milioni, il 70% realizzato con le esportazioni, e una trentina di dipendenti, di cui una decina di ingegneri molto specializzati, «per noi la formazione è fondamentale, lavoriamo in campi poco esplorati».
Nel 2005 Microgate ha dato vita alla Mpd, micro photon devices, uno spin off cui partecipano il Politecnico di Milano e tre professori dello stesso ateneo: «Il nostro primo prodotto - spiega Biasi - è un contatore di fotoni: riusciamo a rilevare i singoli "quanti" di luce, con amplissime potenzialità di utilizzo. Diventa fondamentale per ricostruire la catene del Dna o per telescopi o microscopi ad alte prestazioni». Con un consorzio di atenei canadese Mpd sta mettendo a punto un sistema fotonico per la trasmissione di dati con la garanzia della massima segretezza, fondamentali per le transazioni finanziarie e, anche, per l'industria della difesa. «La Nasa ha già acquistato - conclude Biasi - i nostri contatori, restando vaga sul loro utilizzo. Noi pensiamo che voglia fare uno screening terrestre molto accurato. Ma è solo un'ipotesi».
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