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Newsletter del 21 Febbraio 2011

Imprenditori alla ribalta
di Paolo Preti

Cinqueappuntamenti sul territorio, cinque occasioni di incontro tra imprenditori. È ciò di cui hanno bisogno le imprese: poter ascoltare in un momento di difficoltà altre esperienze a loro vicine con cui potersi confrontare e apprendere.
Quelle emerse, nella specificità dei singoli territori e nella differenza delle storie aziendali, sono considerazioni in gran parte omogenee. La peculiarità economica italiana consiste in un sistema produttivo di imprese piccole, di proprietà familiare, a vocazione imprenditoriale e prevalentemente manifatturiere. Queste sono, e saranno a lungo, le caratteristiche del nostro fare impresa, se non altro perché non siamo capaci di fare altro e perché questo ci riesce particolarmente bene da almeno cinquant'anni. Su questo occorre dunque restare fermi e approfondire la coscienza comune senza andare a cercare ispirazione in modelli che non ci appartengono per storia e cultura.
Ovviamente ciò non significa misconoscere la presenza e l'importanza di imprese di maggiori dimensioni, a proprietà diffusa, con prevalente gestione manageriale e operanti nel settore dei servizi e del terziario, più o meno avanzato, ma affermare che, anche dopo la fine di questa crisi, l'impresa italiana tipo sarà, con tutte le ovvie eccezioni del caso, piccola e non grande, familiare e non public company, imprenditoriale e non manageriale, manifatturiera e non terziaria. La crisi internazionale, infatti, non solo non ha condannato questo modello di sviluppo, ma, anzi, ne ha valorizzato le sue peculiarità anche in termini sociali. Il problema, invece, sarà mantenerlo vincente nel tempo, adeguandolo al mutato contesto competitivo: si tratta dunque per i nostri imprenditori di stare fermi, quanto a modello, e di andare però in profondità sulle ragioni della singola azienda.
Da questo punto di vista sembra imporsi il tema della specializzazione. Le imprese di successo hanno sviluppato la convinzione che saper fare bene una determinata attività, e averlo dimostrato a sé e al mercato con i risultati raggiunti in tanti anni di lavoro, non significa automaticamente saperne fare altrettanto bene altre. Ne consegue una scarsa propensione alla diversificazione strategica come antidoto alla crisi in corso. Cambiare completamente la propria combinazione strategica perché ritenuta, anche a ragione, in crisi per inseguirne altre più alla moda significa snaturare una consuetudine tipica, in particolare, delle piccole e medie imprese: l'imprenditore non è uomo per tutte le stagioni, profilo che più si avvicina alle caratteristiche di chi si muove secondo la prospettiva del finanziere, e dunque lega la propria avventura aziendale a fattori molto specifici, spesso casuali. Le mansioni svolte e il settore dell'azienda in cui ha operato da dipendente prima di rischiare in proprio, il crescere all'interno di una famiglia proprietaria di un'impresa presente in un certo mercato, il settore e le specializzazioni del distretto territoriale in cui è nato e cresciuto, la formazione professionale acquisita e altre circostanze tipiche della vita di ciascuno sono fatti che indirizzano l'esperienza dell'imprenditore e che orientano il suo fare impresa. Pensare di potere cambiare con facilità e con successo di risultati la predisposizione che nasce da questo accumulo di esperienza pregressa è molto meno logico che applicarsi con maggiore creatività per migliorare la combinazione strategica originaria recuperando l'efficienza e l'efficacia eventualmente perse per causa propria o, più probabilmente, per maggior dinamismo altrui.
Il protagonista di questa ampia agenda di lavoro non può che essere l'imprenditore. Ci sono settori industriali maturi, come il tessile-abbigliamento e il calzaturiero, dove fare impresa è diventato sempre più difficile anche per la pressante concorrenza cinese e tuttavia ci sono imprese che proprio in questi anni e in quei settori hanno costruito esperienze di successo. Il sistema-paese italiano non aiuta, rispetto ad altri paesi europei, l'internazionalizzazione delle nostre imprese e spesso anche la loro attività quotidiana è intralciata da vincoli utili a dare fastidio, ma non a regolamentare l'azione imprenditoriale e tuttavia anche in questi difficili frangenti tante aziende esportano quote importanti del loro fatturato. Ci si lamenta spesso dello stato delle nostre infrastrutture e di come questo causi un'ulteriore difficoltà per gli imprenditori e tuttavia si scoprono casi aziendali di successo dislocati in zone del paese impervie, addirittura oltre i mille metri di altezza e in comuni dove la strada finisce. Si è sempre sottolineata l'importanza dei distretti per l'azione delle Pmi, oggi un po' meno per la verità, e tuttavia è facile individuare imprese con risultati economici positivi e continui nel tempo che operano a centinaia di chilometri di distanza dal distretto di riferimento.
In tutti questi casi chi è in grado di fare la differenza, chi determina che un'azienda vada bene e l'altra male? È l'imprenditore. All'origine di ogni azienda, anche di quelle che oggi fanno fatica a trovare nuovi equilibri per riprendere a macinare successi, c'è sempre un imprenditore, una persona per cui un'idea non è solo un'intuizione destinata a restare tale, ma un'occasione per costruire, con un poco di fortuna e molta tenacia, un'opera economica. Alcuni, nelle variegate vicissitudini della propria avventura personale e professionale, si sono attardati su formule strategiche e organizzative che hanno garantito loro in un recente passato ottimi risultati, ma che oggi denunciano la propria crescente obsolescenza. In altri casi i buoni risultati di mercato sono stati raggiunti nonostante molte difficoltà da affrontare: sono aziende, queste più di altre, che esaltano la figura imprenditoriale perché il loro successo non è spiegabile se non con un'idea imprenditoriale particolarmente azzeccata e con la tenacia e la bravura di chi le guida.
È indubbio, e sarebbe grave dimenticarsene, che dietro il successo di un'impresa c'è sempre l'identificazione e la dedizione intelligente di chi ci lavora, a tutti i livelli gerarchici, dal più giovane al più anziano, ma non è ancora adeguatamente sottolineato, mi sembra, il ruolo fondante dell'imprenditore. Imprenditori e lavoratori dipendenti rappresentano le due facce del problema lavoro: due aspetti complementari, ma temporalmente in sequenza. Senza i primi i secondi non hanno motivo d'essere, ogni tanto i secondi imparano dai primi il gusto del rischio e diventano imprenditori a loro volta.
Paolo Preti è professore di Organizzazione delle Pmi, Università della Valle d'Aosta
e Università Bocconi
© RIPRODUZIONE RISERVATA

 
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