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Newsletter del 18 Aprile 2011

Design italiano a Singapore
di Angela Giannessi

Cercasi disperatamente eccellenze nel design italiano, dall'arredamento, alla gioielleria, alla moda, all'hotellerie e all'hospitality in genere. L'appello arriva da Singapore. Obiettivo: sviluppare a braccetto nuovi concetti o linee di prodotti che abbiamo l'allure e l'expertise di una creazione made in Italy, da poter vendere, con la facilità di chi gioca in casa, sul proprio mercato o su quelli asiatici vicini. Un modello di business che gioca a vantaggio di entrambi gli attori: del partner singaporiano che colma il proprio gap in fatto di creatività e di quello italiano che può affacciarsi in Oriente affiancato da un socio locale abile a destreggiarsi tra leggi, mentalità, prassi, dazi e procedure di giganti commerciali come la Cina o di Paesi emergenti come l'Indonesia e la Malesia, ancora poco regolamentati.
«Singapore è un ottimo punto di partenza per installarsi in questa parte di mondo, cominciare a osservarlo, capirlo e produrre - spiega Christine Giam, funzionario per l'area europea dell'Edb, l'Economic Development Board, l'agenzia governativa che si occupa di attrarre investimenti stranieri, far crescere e consolidare l'economia del Paese - anche perché offre un osservatorio privilegiato sul resto dell'area e un ingresso «facile» in Asia, grazie alla ridotta pressione fiscale e gli incentivi che riconosciamo a chi investe in design e innovazione. E l'Italia per noi è il top in fatto di design». In effetti, la tassazione corporate è al 17% e dal 2010 è stato inserito nel budget il Pic (productivity and innovation credit) per cui certi progetti godranno di sgravi fiscali fino al 2015: è previsto infatti che entro un tetto combinato, tra il 2011 e il 2012, di spese fino a 800mila dollari singaporiani (circa 450mila euro), le aziende godano di sgravi fiscali fino al 400% (quindi quasi 1,8 milioni di euro); e la cifra aumenta nel biennio successivo 2013-2015 elevandosi la soglia delle spese a 1,2 milioni di dollari singaporiani (intorno ai 674mila euro) e gli sgravi a 4,8 milioni di dollari (circa 2,7 milioni di euro).
«Questo è un primo esempio di incentivo - aggiunge Christine Giam - ma siamo attenti a valutare ogni progetto, caso per caso. Per accedere a questi finanziamenti, il partner più efficiente resta la Camera di commercio visto che fornisce un primo punto di contatto e supporto per monitorare potenzialità, opportunità e partners e anche per preparare il business plan da presentarci».
«Queste opportunità sono golose - sottolinea Raffaella Orsini, segretario generale della Camera di Singapore - in particolar modo per le Pmi perché a Singapore si cercano soprattutto i marchi di nicchia, quelli sinonimo di esclusività. Questo anche perché ci si è resi conto del vuoto che esiste nell'offerta che starebbe a metà strada tra le grandi griffes di lusso e i marchi internazionali di massa: manca la fascia media, quella contraddistinta da qualità, artigianalità e prezzi medi. Un settore in cui l'Italia è maestra. Ma ci sono vantaggi competitivi evidenti anche grazie ai 18 free trade agreements con gli altri Paesi asiatici, per cui - stabilita in loco una nuova società con un partner singaporiano - è consentito il libero scambio dei beni, altrimenti sottoposti a dazi molto pesanti».
«La Cina è ancora per tanti la Mecca del commercio perché viene vista solo come la patria dei grandi numeri - aggiunge il Presidente della Camera Andrea Bonardi - senza sapere che è un Paese pieno di burocrazia per cui servono nove mesi di tempo e cifre esorbitanti per aprire una società (con ritorni non prima di 5-10 anni) contro i 3 giorni e 500 euro di qui».
Nel frattempo, a Singapore nascono ogni giorno scuole e accademie di design perché è chiaro che oltre a cercare fuori, bisogna acquisire un know-how e una cultura propri; mentre i siti dei quattro principali organismi governativi (Edb, Spring, Ie ed A Star) che si occupano di attrazione degli investimenti, design, innovazione e ricerca abbondano di iniziative, progetti e richieste di esperti. I metodi e modelli, poi, in cui si profilano i primi sodalizi tra Italia e Singapore sono molteplici: «Ho lavorato in passato per una società singaporiana - spiega Giacomo Marabiso, adesso trade analyst della Camera di commercio italiana a Singapore - che ha realizzato una collezione di abiti femminili per un brand locale, impiegando designer con background e know how italiano e creando poi una nuova società, la Zoko Fashion, con cui ha aperto negozi in Cina». «Sì, perché qui non si cercano solo le aziende - gli fa eco la collega Erica Marcellan, project manager - ma anche le idee e i cervelli italiani. E non c'è il minimo interesse a copiare: sono infatti pagati a peso d'oro, tutelati e valorizzati nella proprietà intellettuale, l'autenticità e il nome del brand. In questi giorni stiamo organizzando il contatto tra aziende singaporiane di mobili in cerca di designer di "casa nostra" e un architetto italiano interessato a collaborare. L'incontro avverrà durante il Salone del mobile di Milano». Ma ci sono anche i casi della Arando di Bergamo che ha sviluppato con la singaporiana Metakaos una linea di orologi ispirati allo zodiaco cinese e la padovana WMATY (What's more alive than you) che ha creato in Italia una linea di accessori da piazzare in showroom singaporiani multimarca orientati sui brand di nicchia, poco noti e di qualità.
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I NUMERI
14,7%
TRA PIL E PIC
I "Productivity and innovation credit" (Pic), introdotti nel 2010 per far fronte alla debole congiuntura e per aiutare le imprese, hanno fatto crescere il Pil del 14,7% nel 2010 e le aziende che li utilizzeranno potranno godere dei vantaggi previsti fino al 2015

18
FREE TRADE AGREEMENTS
Gli accordi in essere tra Singapore e gli altri Paesi asiatici consentono il libero scambio dei beni, altrimenti sottoposti a dazi molto pesanti

 
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