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Newsletter del 23 Maggio 2011

Fondi chiusi in aiuto delle Pmi
di Monica D'Ascenzo


Una sera di inizio marzo al Sage Restaurant di Berlino. Ad uno dei tavoli total white del ristorante, noto in città per la spiaggia di sabbia che dà sul fiume Sprea, uomini di finanza italiani tirano le somme della giornata. L'occasione del ritrovo è la cena offerta da Simmons&Simmons nell'ambito del più importante evento europeo per il private equity, il «Super return international» arrivato alla tredicesima edizione. La notizia è che l'Italia è scomparsa non solo dalle presentazioni ufficiali ma anche dalle chiacchiere per i corridoi a margine del convegno. D'altra parte gli ultimi dati diffusi dall'Aifi, associazione italiana dell'industria dei fondi chiusi, parlavano chiaro: gli investimenti esteri in fondi italiani sono scesi al 2% nel 2010. Chi lavora in questo settore da vent'anni e continua a operare grazie agli investimenti esteri non ci sta a questo nuovo corso. Tra un bicchiere di vino e qualche piatto italiano reinterpretato alla berlinese è nata così l'idea di «Why not Italy?». Non è un'associazione e non è un gruppo, è l'impegno personale di professionisti che possono spendere il loro nome per cambiare l'immagine dell'Italia presso gli investitori istituzionali esteri: Andrea C.Bonomi di InvestIndustrial, Fabio Sattin di Private Equity Partners, Mario De Benedetti di J.Hirsch, Edoardo Lanzavecchia di Alpha, Eugenio Morpurgo di Fineurop Soditic, Claudio Sposito di Clessidra. «Nello spaccato per dimensioni d'imprese del pil mondiale emerge come le imprese del manufactoring italiano sono quelle che hanno meglio resistito alla crisi, dopo quelle tedesche. Eppure quando lo si racconta agli investitori e si paragona l'Italia ad altri paese europei ci sono reazioni di stupore» spiega Sattin, aggiungendo: «non si tratta però solo di un problema di dati o di crescita economica. C'è scarsa informazione e attenzione sul nostro paese. Proprio per questo abbiamo pensato che potessimo giocare un ruolo nel cambiare la percezione del paese, ognuno con la propria esperienza e forte dei propri track record». E proprio Sattin, già presidente dell'Evca dieci anni fa, ora è stato nominato membro del Mid Market Platform Council dell'associazione europea del settore, dove potrà portare un contributo a favore dell'Italia.
«Il tessuto imprenditoriale italiano è unico e rappresenta un sinonimo di eccellenza perché in grado di coniugare talento, spirito di sacrificio e capacità di ottenere risultati in tempi rapidi e in totale autonomia. Certo, tali caratteristiche non sempre vengono percepite all'estero ed è per questo che la nostra immagine non è al livello che meriteremmo ma le colpe dello status quo non sono tutte degli italiani» commenta Bonomi, aggiungendo: «in ogni caso spetta in primo luogo a noi investitori con un approccio di tipo internazionale farci carico della responsabilità di rappresentare all'estero tutte le virtù del brand Italia e dobbiamo darci da fare in questo senso». Eppure l'interesse di gruppi industriali per obiettivi italiani non manca, come hanno dimostrato le ultime operazioni. «Le mosse dei compratori strategici esteri quali Lactalis, Refresco, Lvmh, Campofrio, Edf testimoniano un grande apprezzamento del sistema Italia e del suo potenziale. In questo particolare momento le aziende italiane hanno in media multipli ragionevoli e le aspettative dei venditori post crisi sono più moderate» osserva Morpurgo, proseguendo poi: «Ed è vero anche che l'Italia ha un numero impressionante di medie aziende di successo che esportano in tutto il mondo e si fanno valere anche sui mercati emergenti. Chi acquista queste aziende eccellenti di nicchia si compra anche un upside di crescita sull'estero. Infine c'è un mondo del private equity che ha importanti capitali a disposizione e può essere un utile partner sul territorio anche per interlocutori stranieri».
E sui campioni delle esportazioni insiste anche Lanzavecchia: «Ci sono tanti gli imprenditori e manager che non si lamentano dei problemi del Paese, della troppa tassazione o della mancanza di infrastrutture, ma fanno la valigia e esportano prodotti o espandono le proprie aziende all'estero. E vincono, anche in Cina. Queste sono aziende a cui interessa poco il nostro Pil anemico. Sono le aziende italiane in cui dobbiamo investire». E lo sa bene anche Legnani: «nei distretti di eccellenza italiani sono numerose le società con marchi storici, know how consolidato, manager esperti e tecnici con innata creatività, che si sono fatte trovare sottopatrimonializzate dalla recente crisi economica; queste aziende sono oggi interessantissimi target per investitori che vogliano cogliere con successo le opportunità di crescita offerte dalla globalizzazione».
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