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Newsletter del 27 Febbraio 2012

Più innovanti le Pmi dei distretti
di Giuseppe Chiellino

MILANO
Maggiore propensione all'export, grandissima capacità di innovazione di prodotto e di processo, capcacità di dialogo con i mercati internazionali che non vuol dire solo delocalizzare ma anche controllo di reti distribuitive proprie o almeno partecipate. Questo ci vorrebbe per evitare che, in una lunga fase di bassa crescita, il precario equilibrio economico-finanziario di molte piccole e medie imprese italiane salti del tutto, accentuando l'effetto di "polarizzazione" che vede sempre di più le imprese migliori correre a passo di carica e quelle peggiori sempre più in difficoltà.
«Ma per fare tutte e tre queste cose insieme - spiega Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo nel presentare il quarto rapporto sui distretti industriali, insieme al ceo Enrico Cucchiani - servono dimensioni adeguate: la soglia minima è di 200 milioni di fatturato».
Qualcosa in questa direzione si sta muovendo e alcuni segnali di trasformazione vengono proprio dalle imprese cosiddette distrettuali. I risultati si vedono: dopo lo scossone del 2009 che aveva portato un crollo del fatturato di quasi il 18%, superiore a quello delle imprese non distrettuali, nel 2010 il fatturato delle imprese dei distretti è cresciuto dell'8,3% contro il 6,6% delle altre.
Un recupero che non chiude ancora la forbice con i livelli precrisi, ma che è comunque superiore al resto dell'industria. E anche per gli anni successivi gli economisti di Intesa Sanpaolo prevedono per le imprese dei 139 distretti censiti nel rapporto un ritmo di crescita lento ma in ogni caso migliore della concorrenza.
Per il 2011 il fatturato dei distretti è stimato in crescita del'8,5%, un punto in più rispetto alle altre aree. In recupero marginale (3 decimi) la redditività. Per il biennio 2012-2013 le previsioni sono molto più contenute, in linea con l'andamento previsto per l'intera economia: inferiore all'1% quest'anno per poi risalire al 3% l'anno prossimo.
«Sono prospettive non rosee - ha sottolineato Cucchiani, che ha scelto la presentazione del rapporto per la sua prima uscita pubblica nel ruolo di capo azienda, assunto solo un paio di mesi fa - perché in termini reali siamo di fronte ad una crescita negativa. Ma non sono dati scolpiti nella pietra. Dobbiamo attivarci con tutte le energie possibili per farli mutare».
Ma c'è anche il rischio che le cose vadano peggio: l'incognita più grossa è «la difficoltà dell'Europa a trovare un'intesa sulla governance economica» ha spiegato De Felice. Al contrario, «se il recupero dell'evasione fiscale fosse utilizzato per alleggerire la pressione fiscale sulle fasce più deboli, potremmo assistere ad un'evoluzione positiva verso fine anno». Si tratta, infatti, di «risorse che entrerebbero immediatamente in circolo perché a disposizione di persone con una propensione al risparmio pari a zero». Risorse che secondo Cucchiani potrebbero essere usate, almeno in parte, anche per ridurre il tax rate sulle imprese.
Tra i fattori che danno alle imprese distrettuali una marcia in più c'è sicuramente la maggiore internazionalizzazione: ogni 100 imprese ci sono 25 partecipate estere, contro le 16 delle altre aree. «L'internazionalizzazione sta diventanto un fenomeno di massa - ha detto Fabrizo Guelpa, uno dei coordinatori del rapporto - ed è accaduto tutto negli ultimi 10 anni». L'altra faccia della medaglia è che le aree distrettuali sono ancora piuttosto «chiuse» ai capitali stranieri.
Un fenomeno, quello dell'internazionalizzazione, che, insieme alle reti d'impresa («non alternative ai distretti») e ai gruppi «anche informali», dà un po' di massa critica alle pmi. Che non basta, però, a compensare la perdita delle grandi imprese: «Nel medio-lungo termine - ha detto Cucchiani - si deve operare, senza sussidi, per agevolare la crescita di grandi gruppi. Un grande paese dell'economia europea e globale non può farne a meno».
L'altra marcia in più delle imprese dei distretti è la maggiore propensione ad innovare: un quarto di brevetti in più rispetto alle altre. Questo però non si traduce nella capacità di utilizzare i risultati della ricerca scientifica: «Le innovazioni sono meno radicali: è un punto di debolezza che non accelera la crescita». Ma Cucchiani è fiducioso: «Abbiamo la fortuna di avere un governo che dà una grande spinta al rinnovamento, mettendo in discussione alcuni tabù. Noi siamo al servizio».
Twitter@chigiu
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