Le verifiche nei confronti del mondo professionale di cui ha dato conto la Guardia di Finanza in questi giorni, riportano l'attenzione alle modalità di controllo nei confronti dei lavoratori autonomi. Prendendo spunto dalle ipotesi con maggior risalto mediatico, solitamente corrispondenti a casistiche di evidente evasione o, addirittura, di ipotesi configurabili come reato, emerge da subito un concetto molto chiaro: una opportuna attività di preventiva selezione dei contribuenti consente di concentrare le attenzioni del fisco sui soggetti a maggior rischio fiscale.
Le fonti di innesco sono ormai abituali: movimentazioni finanziarie anomale e tenore di vita non in linea con i redditi dichiarati. Non a caso, tali spunti si collegano in modo immediato alle nuove frontiere degli accertamenti, basate, appunto, sull'acquisizione dei dati dagli intermediari finanziari e dal rilancio del redditometro o accertamento sintetico. Per chi non si trova, invece, in tali situazioni, il confronto con i verificatori si esplica sulla corretta quantificazione del reddito, materia assai delicata nello specifico comparto, poiché in esso trova applicazione il criterio di cassa. Quindi, se la prestazione è stata resa, ma non è stato ancora introitato il compenso, nessuna contestazione può essere mossa, salvo il caso in cui non si dimostri l'incasso in nero. E, per dimostrare tale circostanza, solitamente si cerca la prova nell'avvenuta movimentazione di somme extra conto; come a dire che si deve tornare al punto di partenza, vale a dire a rintracciare la manifestazione del reddito non dichiarato (sotto forma di spese), oppure l'accumulo di somme in conti non corrispondenti alle scritture contabili. Qui, insomma, si riscontra il più ampio disallineamento con il mondo del reddito di impresa, ove invece i ricavi si dichiarano per competenza, a prescindere dell'aspetto finanziario. Appare allora evidente che argomenti quali il comportamento antieconomico trovano terreno poco fertile per gli autonomi, dove non si può argomentare in merito a presunte percentuali di ricarico, agli utilizzi di materia prima, ai consumi di energia elettrica o altri ragionamenti di tipo presuntivo, proprio perché il frutto dell'intelletto difficilmente si misura. Non a caso, è stata la stessa Agenzia delle entrate (si veda la circolare 21/E/2011) a prevedere un massiccio impiego delle indagini finanziarie già a livello istruttorio, accompagnate da una adeguata campagna di accessi brevi, finalizzati alla verifica del rispetto degli obblighi strumentali. Qualche spunto può giungere dagli studi di settore, principalmente per quei professionisti che fossero non congrui, oppure che non avessero presentato il modello di raccolta dati, oppure che avessero esposto informazioni non corrispondenti al vero; non manca, poi, una specifica attenzione alla casistica dei "congrui appiattiti", vale a dire coloro che, per tre periodi di imposta consecutivi, hanno dichiarato compensi da congruità leggermente superiori a quelli puntuali individuati da Gerico.
Sul versante della contestazione dei costi, l'analisi si spinge alla verifica della inerenza degli stessi, oltre che sulla corretta applicazione delle eventuali limitazioni previste dalle regole a regime del Tuir. Poiché si crede che non siano queste le "anomalie" che ricercano i verificatori, ben si comprende come la posizione di rischio (e la contestuale necessità di svolgere approfondimenti più mirati) deriva proprio dalla situazione complessiva del contribuente. La verifica, insomma, solitamente non darà risultati insperati; diversamente, dalla stessa si può trarre la eventuale conferma di una anomalia già riscontrata.
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