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Newsletter del 29 Ottobre 2012

Pmi Ue, l'innovazione fa da scudo

PAGINA A CURA DI
Chiara Bussi
Lo scossone è stato forte e gli acciacchi non sono ancora finiti. Ma le Pmi si confermano la spina dorsale dell'economia europea. La loro struttura è un po' dolorante e ricurva per i venti contrari della crisi, eppure nel pieno della tempesta i "piccoli" sono riusciti a battere le aziende di grandi dimensioni per capacità di sopravvivenza, tenuta dell'occupazione e servizi ad alta intensità di conoscenza. E ora lottano, con ritmo diverso da Paese a Paese, per ritrovare la via della crescita, con un gruppo di testa che diventa sempre più numeroso.
Un vero e proprio "scudo anti-crisi", come dimostra il Rapporto annuale sulle Pmi che la Commissione Ue pubblicherà oggi. L'Italia è nel gruppo mediano, ma ha due assi nella manica: la tecnologia e il personale altamente qualificato.
La fotografia
L'istantanea mostra un esercito di 20,7 milioni di piccole e medie imprese, pari al 98% del totale delle aziende europee, dove a fare la parte del leone sono quelle con meno di 10 dipendenti. La loro taglia è small, ma danno lavoro al 67% degli occupati nelle imprese e contribuiscono a più della metà (il 58%) del valore aggiunto. Dal 2008 al 2011, nel bel mezzo della bufera, hanno avuto uno scatto d'orgoglio: se il numero delle grandi imprese ha registrato una frenata del 2,5%, i "piccoli" sono rimasti sostanzialmente stabili (-0,2%). E mentre le aziende di taglia large hanno perso il 5,8% degli occupati, le Pmi hanno arginato il calo al 2,9 per cento. A tirare la volata sono state le imprese nei settori delle utilities, nel commercio e nei servizi, mentre manifatturiero e costruzioni soffrono ancora.
Le performance sono diverse a seconda dei Paesi. Se nel 2011 – si legge nel rapporto – solo Germania, Austria e Malta erano tornate ai livelli pre-crisi di occupazione e valore aggiunto, nel 2012 il club dei virtuosi dovrebbe allargarsi ad altri 15 Paesi. Tra questi anche la Spagna, alle prese con le turbolenze del sistema bancario.
L'Italia è nel gruppo mediano, con un calo del valore aggiunto ma una crescita dell'occupazione. È però in buona compagnia, insieme a Francia, Finlandia, Svezia, Repubblica ceca, Polonia e Slovenia. In coda, con valori negativi su entrambi i fronti, i due malati della Ue in terapia intensiva: Grecia e Portogallo.
A livello complessivo le Pmi europee battono le imprese più grandi anche sul fronte dei servizi ad alta intensità della conoscenza, i cosiddetti «kis». Sono 4,3 milioni i "piccoli" che impiegano personale altamente qualificato, pari al 20% del totale contro il 17% delle grandi.
Qui l'Italia recita la parte del leone, con il 18% delle imprese che corrispondono all'identikit. Meglio persino della Germania, che si deve accontentare del 10 per cento. Berlino non cede invece lo scettro dell'alta tecnologia nel manifatturiero (17% contro il 14% delle imprese italiane), ma il nostro Paese è in testa per numero di aziende a media (19%) e bassa tecnologia (21%).
Non solo: l'Italia è ammessa a pieno titolo nel club dei nove Stati con un livello di tecnologia delle Pmi superiore alla media europea, insieme all'onnipresente Germania, ai Paesi nordici, più Repubblica ceca, Slovacchia e Slovenia.
Sostegno all'innovazione
È proprio questa, secondo il rapporto, la carta da giocare per aumentare la competitività dei Ventisette. Se in tempi di austerity gli incentivi pubblici sono sempre più risicati, la Commissione Ue suggerisce una strada alternativa: la collaborazione con le università. Il punto di partenza sono i 150 incubatori certificati nell'Unione europea e supportati dall'European and innovation centre network (Bic) e i 500 spin-off che vengono creati ogni anno a livello europeo. Ancora troppo poco, però.
Secondo Bruxelles serve dunque una politica di sostegno all'innovazione per avvicinare l'industria alla ricerca, consentendo ad esempio ai rapprentanti del mondo accademico di partecipare alla creazione di impresa e con una precisa tutela della proprietà intellettuale.
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