È ancora basso il livello di innovazione tecnologica negli studi dei commercialisti. Gli strumenti Ict per la dematerializzazione (ovvero, la "rinuncia" alla carta) sono stati adottati da percentuali variabili tra il 12 e il 22% (si vedano i grafici), a seconda che si parli di conservazione sostitutiva di documenti fiscali, di software per la gestione elettronica dei documenti aziendali, oppure di portali ed extranet, utilizzati per lo scambio di documenti.
A mettere sotto la lente i processi di innovazione tecnologica negli studi è il primo rapporto dell'Osservatorio Ict&Commercialisti della School of management del Politecnico di Milano, attraverso le risposte di oltre 600 professionisti, che hanno compilato in maniera completa il questionario proposto.
L'80% dei commercialisti si occupa soprattutto di gestire la contabilità aziendale e le dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche. L'insieme di queste attività assorbe, mediamente, il 63% del tempo lavorativo di uno studio. Sono pratiche ad elevata intensità di produzione di carta e di lavoro manuale. «Se si aggiunge – commenta Claudio Rorato, responsabile Ricerca dell'Osservatorio – che per il 62% dei rispondenti gli archivi cartacei sono già saturi o prossimi alla saturazione, ci si aspetterebbe un alto grado di adozione di soluzioni tecnologiche per risolvere questi problemi. Invece, non è così».
Quasi la metà dei commercialisti considerati non vede nelle soluzioni di dematerializzazione un utile supporto per la crescita del proprio business. Oltre il 30%, invece, dichiara di voler adottare, entro un paio d'anni, progetti di questo tipo. Gli investimenti possono essere distribuiti su più anni e per partire con il piede giusto basta qualche migliaio di euro. Per contro, il payback è previsto in meno di un anno e il beneficio atteso è del 10% del fatturato per un grande studio – per esempio con ricavi dell'ordine di un milione di euro, 130 società clienti e una registrazione di 110mila fatture –; per studi più piccoli – da 50mila euro di fatturato annuo e una ventina di aziende clienti, con circa 10mila fatture registrate – il risparmio monetario atteso è del 20% del fatturato.
«Se l'utilizzo dell'innovazione tecnologica, della dematerializzazione e della digitalizzazione è mediamente basso – commenta Rorato –, ci sono comunque delle eccellenze, alcuni studi che hanno già avviato progetti notevoli. Non si concentrano in particolare in alcuna area geografica e non c'è una correlazione con le dimensioni dello studio; segno che è ancora forte la componente culturale che condiziona la capacità di percepire la tecnologia come un fattore di sviluppo. Invece, specialmente in un periodo di crisi in cui è difficile espandere i ricavi, l'utilizzo della tecnologia permette di contenere i costi e difendere i margini».
Oltre al report, l'Osservatorio Ict&Commercialisti ha preparato una sorta di quaderno divulgativo, dal titolo "W.A.Y.-Where are you?", ovvero «dove ti trovi, tu commercialista, nel processo verso la dematerializzazione?». Il documento raccoglie le voci dal "campo" – commercialisti che esprimono le proprie motivazioni e resistenze al cambiamento – ma anche altri dati e opinioni.
In Italia i commercialisti e gli esperti contabili sono circa 113mila. «Se parliamo di commercialisti – conclude il responsabile dell'Osservatorio, Paolo Catti – parliamo d'impresa. I commercialisti siedono nei cda, nei collegi sindacali, fanno i revisori contabili, gestiscono la contabilità dei clienti, spesso sono consulenti dell'imprenditore per definire le strategie di sviluppo e qualche volta gestiscono anche i patrimoni delle imprese. Poiché circa il 97% delle imprese italiane sono micro e piccole, è evidente quanto il commercialista potrebbe essere il "canale" per convogliare nelle imprese stesse una maggiore cultura informatica e digitale».
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