Portando da 4 a 5 anni il termine per la prescrizione dell'illecito disciplinare dei notai il legislatore non ha violato la Costituzione. La Consulta, con la sentenza 229, esclude che con l'allungamento dei tempi della prescrizione e l'introduzione delle cause di interruzione il legislatore sia andato oltre la delega. A sollevare la questione di legittimità era stata la Cassazione che aveva posto all'attenzione dei giudici delle leggi la modifica introdotta con l'articolo 29 del Dlgs 249/2006 all'ordinamento del notariato (legge 89/1913). L'articolo, originariamente, prevedeva la prescrizione in quattro anni, senza ipotesi di interruzione e sospensione.
Un dato sul quale si era consolidata la giurisprudenza di legittimità che faceva scattare la prescrizione nei quattro anni, anche in presenza di «atti di procedura». L'unica ipotesi di sospensione era la pendenza di un procedimento penale. La Cassazione sottolinea che con l'articolo 7 della legge 246/2005 il Governo era stato delegato ad adottare i Dlgs per rivedere l'ordinamento del notariato, intervenendo anche sulla «previsione della sospensiva della prescrizione in caso di procedimento penale e revisione della recidiva». Mentre con l'articolo 29 del Dlgs 249/2006 è stata allungata la prescrizione e dettata una nuova disciplina per la sua interruzione svincolandosi, secondo la Suprema corte dai criteri della delega. Per la Consulta però la scelta del legislatore è stata coerente con gli indirizzi generali della delega e con la sua ratio.
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