MILANO
Un welfare aziendale a misura di Pmi e non solo appannaggio di multinazionali come Nestlè o Luxottica. Si può fare. Dalle borse di studio, al telelavoro, dai voucher per gli asili nido a quelli per l’assistenza agli anziani, l’Italia resta lontana anni luce dalle buone pratiche radicate da anni in Scandinavia, ma anche Francia, Olanda e Germania. Eppure, se il Fisco è fermo al 1986 e il legislatore non ha brillato sul tema , crescono le iniziative di reti di impresa e di associazioni imprenditorialiper far crescere una cultura del “benessere” dei dipendenti, che poi significa anche lavorare meglio. Anche se il concetto fatica a entrare nella mentalità dell’impresa italiana, sia grande che piccola.
Sul welfare aziendale si è fatto il punto ieri nella sede milanese di Assolombarda, che, con la società italiana “Welfare Company”, mette a disposizione dei suoi associati una piattaforma web per l’esecuzione di programmi di Flexible Benefits (voucher per l’acquisto di beni e servizi, dalla baby sitter al disbrigo pratiche, consegna posta, spesa, farmaci e lavanderia sul posto di lavoro).
«Il welfare aziendale – ha spiegato il direttore generale di Assolombarda Michele Angelo Verna – indica tutte quelle misure, avviate da un’azienda, di sostegno al reddito familiare, di incentivo allo studio, per la tutela della salute, e tutte quelle politiche che favoriscono la conciliazione tra famiglia e lavoro. Riteniamo che il welfare aziendale dovrebbe diventare una delle battaglie principali dell’associazione degli imprenditori». Tra Veneto, Emilia e Marche opera poi una rete di 10 cooperative (capofila la bolognese Cadiai) che eroga servizi di work balance nell’assistenza ad anziani e bambini.
Uno dei vantaggi del welfare aziendale è di offrire al dipendente, a parità di costo per l’azienda, un valore superiore di beni e servizi. Un aumento retributivo tradizionale si traduce per il dipendente in un reddito netto pari circa al 50% del lordo ricevuto (100 euro di incremento lordo in busta paga determinano circa 50 euro netti, nonché un costo azienda di quasi 140) . Invece, quasi tutte le misure di welfare consentono la completa deducibilità dei costi per l’azienda e non concorrono a formare reddito di lavoro per il dipendente .
Gli articoli 51 e 100 del Tuir sarebbero da rivedere. Anche per questo l’opacità interpretativa rende caute le imprese. «Le aziende italiane sono indietro – ha concluso Tiziano Treu, ex commissario Inps – ma alle Pmi servono prodotti semplici, voucher erogabili senza troppi login web, agevolare di più telelavoro e smart working. Spesso basta un pc. Alcuni cambiamenti si possono fare senza attendere le leggi. Ma se non si diffondono, restano le iniziative di pochi pionieri».
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