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Newsletter del 30 Giugno 2015

Niente appeal per l’anticipo del Tfr in «busta»

MILANO

Le tasse azzoppano l’operazione «Tfr in busta paga», che avrebbe dovuto rappresentare la seconda ondata di liquidità per i lavoratori dopo il bonus di 80 euro ma, almeno stando alle prime elaborazioni, è rimasta praticamente ferma.

A registrare i quasi impercettibili movimenti del Tfr è l’Osservatorio della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, che ha cominciato a misurare che cosa è successo nelle grandi aziende nel primo mese in cui i lavoratori avrebbero potuto ritirare la loro «buonuscita» (il Dpcm attuativo è entrato in vigore ad aprile, e le liquidazioni partono quindi da maggio). Meno di sei lavoratori ogni 10mila, dicono però i consulenti, hanno scelto questa strada, mentre la quasi totalità ha deciso di lasciar maturare il trattamento di fine rapporto secondo le vecchie regole.

Il motivo è evidente: quando viene ricevuto al termine del rapporto di lavoro, il Tfr è assoggettato a tassazione separata calcolata su un’aliquota media variabile in base agli anni e alle frazioni di anni di anzianità. L’anticipo previsto dall’ultima legge di stabilità, invece, dal punto di vista fiscale viene trattato come una sorta di reddito aggiuntivo, e di conseguenza è colpito dall’aliquota marginale, cioè la più alta prevista per ciascun reddito. In soldoni, quindi, la «buonuscita» anticipata viene alleggerita dal Fisco in modo assai più deciso rispetto a quella che segue le vie ordinarie.

Con questi presupposti i numeri calcolati dai consulenti, secondo i quali su una platea di un milione di lavoratori impiegati in aziende con più di 500 dipendenti solo 567 hanno chiesto il Tfr in busta paga, sono tutt’altro che sorprendenti. Gli stessi professionisti, come ricorda il presidente del consiglio nazionale dei consulenti, Marina Calderone, avevano «preventivato una scarsa adesione, e questo insuccesso è l’ennesima dimostrazione che la politica ha spesso la percezione delle esigenze del mondo del lavoro ma non è in stretto contatto con chi parla tutti i giorni con lavoratori e imprese». Il risultato è un «provvedimento apprezzabile» nella sua idea originaria, quella di dare più chance di gestione delle proprie risorse ai singoli lavoratori anche per rilanciare i consumi interni, ma non nella sua applicazione tecnica, che in fin dei conti sembra averne determinato l’insuccesso.

Sono gli stessi lavoratori a confermare che è stato l’inciampo fiscale ad azzoppare l’avvio del Tfr in busta paga. L’ufficio studi ha infatti interpellato un campione dei lavoratori che hanno deciso di lasciare il loro Tfr dov’era, chiedendo il perché di questa scelta, e il 60% di loro ha evocato il problema-tasse. Un’altra quota, meno consistente (16%), ha ricordato l’altro problema, quello di una potenziale contraddizione fra l’anticipo del Tfr e lo sviluppo della previdenza integrativa per puntellare una pensione che con il calcolo contributivo spesso potrebbe fermarsi molto lontana dai redditi da lavoro. Nei prossimi giorni saranno diffusi i dati su una seconda platea, più ampia, di lavoratori impiegati nelle imprese medio-piccole, e per chiedere il Tfr c’è tempo fino al giugno 2018: ma l’ostacolo fiscale pare difficile da superare.

gianni.trovati@ilsole24ore.com

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