Nella certificazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa il lavoratore può farsi assistere da un sindacato, da un avvocato o da un consulente del lavoro. Lo prevede l’articolo 2, comma 3 del decreto legislativo 81/2015 in attuazione del Jobs act. La misura è in linea con la scelta fatto dalla legge 92/2012 che ha riconosciuto ai consulenti la possibilità di assistenza alle parti nella procedura obbligatoria collegata ai licenziamenti economici.
La prerogativa riconosciuta dal decreto legislativo 81, nei giorni scorsi, è stata criticata da Anc, associazione sindacale dei commercialisti. «Non si capisce perché - ha polemizzato Marco Cuchel, presidente di Anc- il decreto legislativo 81 esclude i commercialisti, che possono svolgere gli adempimenti in materia di lavoro in base alla legge 12/1979, dall’assistenza alle parti nella certificazione».
I consulenti non entrano in modo diretto nella polemica ma rispondono con un breve vademecum per gli iscritti su «il ruolo del consulente del lavoro nella certificazione dei contratti di collaborazione». «La norma - commenta il presidente del Consiglio nazionale, Marina Calderone - conferma l'affidabilità dalla categoria dei consulenti del lavoro nel ruolo di terzietà».
La certificazione delle collaborazioni coordinate e continuative è affidata alle commissioni previste dall’articolo 76 del decreto legislativo 276/2003 (anche quelle degli Ordini dei consulenti); l’assistenza al lavoratore deve essere tesa a verifica la natura autonoma della prestazione. L’articolo 2 del decreto 81 specifica che dal 1° gennaio 2016 si applica la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che «si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento a i tempi e al luogo di lavoro». A questo proposito il vademecum afferma: «La previsione di vincoli d’orario per il collaboratore non è incompatibile con il lavoro coordinato e continuativo, purché tale vincolo sia necessario in funzione del coordinamento tra il collaboratore stesso e l’organizzazione produttiva del committente». Su questo punto, però, parlerà la giurisprudenza.
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