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Newsletter del 07 Luglio 2016

Il Fisco «non crede» alla prestazione di servizi gratuiti

Sempre più rischioso per i professionisti, e in particolare per i commercialisti, fornire servizi gratuiti a parenti, amici e clienti.

Il Fisco con maggior frequenza, rispetto al passato, pone l’attenzione sullo scostamento tra le dichiarazioni trasmesse dall’intermediario abilitato in un determinato anno di imposta e le corrispondenti fatture emesse per tale servizio, contestando le eventuali prestazioni che non risultano remunerate.

Generalmente, questi accertamenti cominciano con l’invio di un questionario con cui l’Ufficio chiede all’intermediario abilitato alla trasmissione delle dichiarazioni dei redditi, Irap, Iva e dei sostituti di imposta, di esibire le fatture emesse in un determinato anno di imposta.

Esaminata la documentazione e, di solito, senza richiedere alcun chiarimento né eseguendo alcun accesso presso lo studio professionale, i funzionari accertatori procedono con la rettifica dei compensi/ricavi dichiarati dal professionista o dalla sua società di servizi.

In particolare, sulla base dei dati presenti in Anagrafe tributaria e relativi all’elenco delle dichiarazioni trasmesse dall’intermediario abilitato, l’Ufficio effettua un riscontro tra i clienti indicati nelle fatture emesse e le dichiarazioni trasmesse. Qualora poi da tale raffronto emergano dichiarazioni non fatturate, gli accertatori procedono con la ricostruzione dei ricavi/compensi non fatturati e non dichiarati, assumendo, generalmente, come parametro i compensi professionali dei dottori commercialisti ed esperti contabili stabiliti nella tabella C allegata al Dm 140/2012 per la compilazione e la trasmissione delle diverse tipologie di dichiarazioni.

In particolare, generalmente, anche per i servizi prestati nell’anno 2011 (anno di imposta ancora accertabile) l’Ufficio presume per il servizio di compilazione e trasmissione di ogni singola dichiarazione un compenso di 170 euro in caso di dichiarazione dei redditi di contribuenti non titolari di partita Iva o di 470 euro in caso di persone fisiche titolari di partita Iva (Unico PF), di 570 euro per le dichiarazioni dei redditi delle società di persone (Unico SP) e 670 euro per quelle delle società di capitali (Unico SC).

Inoltre, in caso di dichiarazioni gratuite a ditte individuali e/o società, generalmente l’Ufficio ricostruisce il maggiore reddito imponibile presumendo che lo stesso abbia svolto, oltre al servizio di compilazione e trasmissione della singola dichiarazione, anche quello di tenuta della contabilità e, dunque, moltiplicando il numero delle contabilità presunte non fatturate per la tariffa media desumibile dalla predetta tabella C allegata al Dm 140/2012.

Per motivare la rettifica, di solito l’Ufficio nell’atto di accertamento spiega di aver proceduto alla rettifica presuntiva del reddito ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d) del Dpr 600/73 (cosiddetto accertamento analitico induttivo) sulla base dell’incompletezza, falsità e inesattezza degli elementi indicati in dichiarazione.

L’accertamento può essere effettuato anche in presenza di ricavi/compensi in linea, e dunque congrui e coerenti, con quelli stimabili sulla base dello studio di settore applicabile ai professionisti che esercitano attività di assistenza contabile. In tal caso, gli accertatori nell’atto impositivo precisano che, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, è legittimo procedere all’accertamento presuntivo poiché l’omessa fatturazione di servizi effettivamente prestati, quali la compilazione e la trasmissione delle dichiarazioni, rappresenta una condotta manifestamente antieconomica e che la gratuità delle prestazioni non può essere considerata verosimile nei confronti di soggetti diversi dai congiunti del titolare dello studio. In particolare, al fine di giustificare le proprie presunzioni e di addurre i requisiti di precisione, gravità e concordanza, l’Ufficio accertatore, richiamando nell’atto impositivo anche alcune pronunce giurisprudenziali di legittimità, precisa che è assolutamente ragionevole presumere il carattere oneroso dell’attività professionale di compilazione e che la ricostruzione del maggiore reddito accertato è attendibile perché effettuata sulla base dei corrispettivi di mercato.

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