Web company. Cresce l'investimento del venture capital nei progetti imprenditoriali basati su internet
Daniele Lepido
MILANO
Capitali di rischio in cerca d'autore: rigorosamente hi-tech e alla faccia della crisi. L'avvicinamento del venture capital italiano al gran bazar delle idee tecnologiche più brillanti potrebbe registrare nel 2009 un'accelerazione inattesa. Se il ricordo della "vecchia" new economy frena ancora il portafoglio dei più scettici, qualcun altro invece si sta muovendo per finanziare realtà che facciano business con internet, sull'onda di esempi di successo come Banzai, Bacheca, ePrice o Jobrapido (si veda il pezzo sotto). Questa volta, però, con pochi e misurati spiccioli perché innovare non faccia rima con scialare.
Si parte quindi da 200mila euro di investimento e il gioco è dare subito cassa a modelli di business leggeri: dai motori di ricerca tematici alle applicazioni software legate alla sicurezza, passando per i distributori di musica online, i contenuti per la telefonia mobile o il mondo dei social network.
«Dopo la calma piatta seguita allo sboom della new economy, in questo momento il mercato si sta muovendo alla ricerca di nuove idee da finanziare», racconta Gianluca Dettori, anima di Dpixel, advisor e gestore di Dseed, fondo specializzato in "seeding" per la nascita di imprese ad alto valore d'innovazione. «E questo perché in una tale fase economica – continua Dettori – il venture capital potrebbe vincere sul private equity tradizionale che lavora sfruttando la leva del debito».
In Italia i volumi del venture capital sono ancora limitati, soprattutto se paragonati a quelli della vicina Francia, che sfiora un business complessivo di 12 miliardi di euro. Secondo un'elaborazione del Sole 24 Ore sui dati Aifi del primo semestre, il 2008 potrebbe chiudersi per questo comparto con un ammontare investito non lontano dal miliardo di euro (850-950 milioni), in crescita del 10% sull'anno precedente. Di questa torta circa 200 milioni farebbero capo a investimenti hi-tech, che tradotto suona così: già adesso in Italia quasi un'operazione di venture capital su quattro è realizzata nel campo delle nuove tecnologie.
«Il ritorno che abbiamo in mente, nell'arco temporale di cinque anni, è nell'ordine di dieci volte rispetto all'investimento iniziale – spiega Fausto Boni, numero uno di 360° Capital Partners – ed è fondamentale il processo di selezione delle idee. Noi ogni anno trasformiamo in investimenti al massimo l'1% dei 300 business plan che riceviamo». Tra gli ultimi investimenti hi-tech di 360° Capital Partners c'è quello nel gruppo francese CitiesXl che produce videogiochi sulla falsariga di Simcity, oppure Videoforever, che raccoglie tutti i vecchi formati di video o foto e li digitalizza.
Stefano Peroncini di Quantica, che ha al suo attivo investimenti in gruppi come Kee Square (identificazione biometrica) e GreenFluff (riciclo materiali) spiega quali caratteristiche deve avere una start up per essere attraente: «Cerchiamo business e manager forti».
«Ci piacciono società giovani con un alto potenziale di crescita – sostiene Claudio Giuliano di Innogest – ma che dopo cinque anni arrivino a produrre ricavi nell'ordine dei 60 milioni di euro». Tra le partecipazioni più interessanti di Innogest c'è Blog Tv (video amatoriali) e Mobango (condivisione di contenuti per il mobile).
Eppure se è vero che il mercato si sta risvegliando anche grazie ad alcune iniziative governative come il fondo per il Sud, con una dotazione di 86 milioni di euro per investire in società del Mezzogiorno ad alto contenuto tecnologico, sono gli stessi operatori che segnalano alcuni deficit del l'Italia. «La difficoltà più grossa è di natura culturale, visto che in molti progetti manca l'idea di globalità e la voglia di alzare il proprio orizzonte al di là della classica dimensione di società familiare», dice Lorenzo Franchini, co-fondatore di Italian Angels for Growth. «In Italia come in Europa veniamo da anni in cui il venture capital ha messo a segno risultati negativi e deve ancora dimostrare di essere profittevole - è il parere di Davide Turco, numero uno del fondo Atlante Ventures di IntesaSanpaolo– ecco perché noi puntiamo a un obiettivo di ritorno annuo non esagerato, pari al 15 per cento».
La crisi che in questi giorni sta colpendo i grandi big della tecnologia, Google in testa (che ha annunciato per la prima volta tagli del personale), dimostra probabilmente che la "curva" della crescita si sta appiattendo per chi ha raggiunto la massa critica della multinazionale. Altra aria, invece, potrebbe tirare per le micro-aziende, di quelle magari con un solo ufficio e una ventina di dipendenti ma una visibilità globale. Il solito miracolo della rete.
daniele.lepido@ilsole24ore.com
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