Sono un ladro d'identità. Ho clonato Giancarlo, lo scrittore di culto, Marco, il bomber da metà classifica, Tommaso, il promettente videomaker, Riccardo, il direttore del mensile innovatore. Ho vissuto qualche giorno nei loro panni, ho creato scompiglio e mi sono dileguato. Ho ricevuto insulti, intimidazioni, pure minacce di denuncia («Ma le pare che potremmo investigare su un furto d'identità su FaceBook?», mi ha rincuorato la Pol-Posta). Ma soprattutto, ho ricevuto tante, tantissime richieste d'amicizia, scambiato messaggi e confidenze, carpito segreti. Tutti mi hanno rivelato qualcosa custodito nel cuore, nello stipetto dei ricordi, nello schedario delle cose inconfessabili, persino nella cassaforte dei preziosi.
È la faccia oscura del Libro delle Facce. Neanche la più perversa, per la verità: i social network nascondono troppi tranelli per scansarli tutti. La fretta, l'ignoranza del mezzo, la sensazione di credersi davvero al sicuro tra amici, portano a commettere una serie di tragiche leggerezze solo perché non ci sofferma a riflettere. Come le pecore: con i miei alias su FB, in effetti, molti si sono limitati a seguire il gruppo. Per carpire i dati delle mie vittime, mi sono dovuto prima far accettare con un altro nome. Ho richiesto l'amicizia dei loro amici, che me l'hanno accordata. Poi, avendo nel carniere un sacco di facce conosciute, mi hanno accolto con sollievo pure loro. Eppure, sentite come mi sono presentato. Voi aprireste la porta di casa a uno così?
Innanzitutto, il nome: Nicky Nick. Falso, falsissimo, proprio "fake". Una foto presa digitando: "Torso nudo" su Google Images. Un orrido profilo da nazista e massone. Affiliato a gruppi di supremazia ariana, di liberazione della razza lombardo-padana, di fanatici curdi, nemici di turchi, arabi e iracheni, di sado-masochisti internazionali. Mi vantavo di possedere una Luger P08, la pistola delle SS, e di avere la tentazione di farne uso. Già che c'ero, mi presentavo pure come ufologo. Evidentemente, un pazzo. Eppure, nessuno mi ha mai evitato. Prima di dileguarmi, ho allignato per settimane tra gli amici di Giancarlo, Marco, Tommaso, Riccardo. Ho succhiato dati, li ho circuiti, mi sono fatto svelare dettagli della loro vita e, intorno a questa mole di caratteristiche, li ho clonati. E con il loro nome, la loro notorietà, la loro autorevolezza ho fatto scorribande virtuali. Giocose, goliardiche, pure un po' bastarde. Come quando, con la faccia del direttore di giornale, ho chiesto l'amicizia a Luca Sofri e contemporaneamente m'iscrivevo al gruppo "Io odio Daria Bignardi", che com'è noto è sua moglie. La cosa non è passata inosservata, dicono. Ma queste sono ragazzate. Sentite che avrei potuto fare, fossi stato davvero malintenzionato, come in effetti ce ne sono molti nei social network.
«I social network hanno architetture volutamente poco sicure e con bassi livelli di privacy, perché il valore è nei dati e dev'essere facile registrarsi – spiega Alessandro Acquisti, professore di Information technology and public policy, all'Heinz College della Carnegie Mellon University di Pittsburgh –. Questo però rende molto semplice il furto di dati o aprire la porta ai predoni dei botnet». Ovvero, ai criminali virtuali che, sfruttando la disattenzione dell'utente, infettano il pc e ne prendono il controllo remoto, senza lasciare tracce. Scopo? «Inviare spam, phishing, usare la memoria per scaricare, ma anche per azioni illegali o carpire password». In fondo, ci sono vittime ben più celebri delle mie. Lo conferma Acquisti: «Durante la campagna elettorale Usa, ci è cascata Sarah Palin: sono entrati nel suo account di posta su Yahoo e hanno pubblicato documenti riservati. FaceBook è un ottimo cavallo di troia per chi ha cattive intenzioni, perché non è sicuro ma gli si attribuisce sicurezza. In realtà, il 30% degli account sono fasulli e c'è un mercato miliardario per i ladri di dati. Più si è famosi e più si è a rischio». Come quel presidente di multinazionale che, vedendo il mio "alias", mi ha richiesto amicizia, dimostrandosi molto propenso a usare FaceBook come una casella di posta. Avrei potuto carpire segreti aziendali internazionali senza grande sforzo. In fondo, sarebbe stato solo un "do ut des", visto l'uso commerciale che le aziende fanno dei dati che regaliamo loro. Un giro miliardario, che i responsabili commerciali conoscono fin troppo bene. «Mi è bastato iscrivermi per capirne le potenzialità commerciali –, rivela il direttore generale di uno dei più importanti gruppi editoriali italiani –. Dopo due click, mi è comparso il banner di Gomorra, il libro di Saviano. Non perché ne avessi dichiarato l'interesse, ma perché è tra i preferiti di un'amica. Mirare su di lei quella pubblicità non serve, perché l'ha già letto, ma su di me è perfetta. È il futuro dell'advertising». Per ora, pure gratis. «È semplicissimo scaricare i dati di grande valore, che regaliamo al network», rivela Acquisti.
Più navighiamo, più facciamo quiz e scarichiamo widget e più riveliamo di noi. Se l'invasività delle agenzie di pubblicità non vi tocca, attenzione al pericolo schedatura. Non c'è nick che tenga. «Caricare foto su internet è molto pericoloso – avverte ancora Acquisti –. La biometria non è più fantascienza. I software sono così sofisticati e gli hardware così veloci che è agevole confrontare i dati visuali». Perciò, se mi iscrivo a un sito di appuntamenti sotto pseudonimo e metto la foto, non ci si mette nulla a identificare il mio vero nome se la mia foto compare anche su FB o su qualche social network professionale, dove ho il profilo vero. Poi, magari rivelo qualche dettaglio apparentemente insignificante, come l'amore per una band poco famosa o un libro particolare, che incrociato equivale a una firma. Non è roba da servizi segreti, nonostante l'MI6, l'intelligence britannica, abbia ammesso di usarla, anche per il reclutamento. La questione, qui, è assai più pratica, in fase di selezione del personale. Chissà come ne sarebbe uscito Giancarlo, lo scrittore clonato, se avessi continuato a sparlare del suo editore, che avevo tra gli amici e che, in più di un'occasione, ha dato giustificati segni d'intolleranza.
FaceBook, almeno sulle prime, è divertente e talvolta persino emozionante, ma nasconde imprevisti non quantificabili, soprattutto in prospettiva: «Negli Usa è nato e si è diffuso nei college e le aziende lo usano per scrutinare i candidati. Spesso gli ex allievi, reclutati dalle società di selezione del personale, mantengono attivi gli account solo per monitorare gli aspiranti. Inoltre, attenzione a usarlo in ufficio: non potrebbero, ma le aziende controllano il tempo che si passa su FaceBook e spesso s'infiltrano tra gli amici. Negli Stati Uniti il 30% delle aziende l'ha ammesso». In Italia la pratica è comunque utilizzatissima. Poi magari non ha risvolti pratici immediati, ma possiamo dire lo stesso nel caso di una promozione in ballottaggio tra diversi candidati? Il tema degli effetti di quello che dichiariamo oggi su quello che ci interesserà domani è persino più ampio: «Chi può sapere fra cinque anni cosa ci interessa divulgare e cosa no? – aggiunge Acquisti –. Si pensi a un futuro candidato alla Presidenza della Corte di Giustizia: chiunque vorrà scavare nel suo passato, ma oggi lui non è neppure in grado di prevedere le implicazioni di quello che dichiara». Basta una foto con una sbronza colossale: come farà a gestire le polemiche, se sarà il propugnatore di una campagna anti-alcol? E magari non l'ha neppure postata lui, ma un amico. E, probabilmente, non sarà più in grado di farla sparire. Cancellare i dati di FaceBook è praticamente impossibile. In Italia peggio che mai: qui non esiste neppure una società a cui far riferimento per la cancellazione. La semplice richiesta ci nasconde dall'online, ma ci mantiene nel server. Il quartier generale europeo è in Spagna e la legislazione di riferimento è quella americana, lasca in tema di privacy. Negli Usa c'è da tempo un movimento d'opinione che sta spingendo i proprietari ad alzare il livello della riservatezza. Da noi, zero.
FaceBook è solo un mezzo e quindi neutro, ma la sua architettura facilita gli impulsi peggiori. Per esempio, perché accetta due omonimi, nati nello stesso giorno, nella stessa città, con la stessa foto, senza mandare un alert a chi s'è iscritto per primo? «Perché più iscritti e più dati ha il network e più i proprietari guadagnano». La sicurezza, però, dipende anche da noi. Divertiamoci pure con i social network, ma ricordiamoci di essere in una scatola di vetro. Magari, evitando di essere passivi verso le regole. Con quelle giapponesi Nicky Nick non avrebbe mai potuto diventare un ladro d'identità: là bisogna lasciare il numero di un documento valido. Un altro dato regalato, ma per una volta a buon rendere.