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Newsletter del 17 Dicembre 2008

Pmi, la carta della creatività

di Claudio Pasqualetto
Il dubbio è più di forma che di sostanza. La metamorfosi delle imprese vicentine, certificata da una approfondita ricerca promossa dall'Osservatorio sulle piccole e medie imprese della Fondazione Studi Universitari di Vicenza e della Facoltà di economia dell'Università di Verona, è un cambiamento che ha portato alla creazione di un soggetto del tutto nuovo oppure è più semplicemente un'evoluzione imposta dal mercato?
L'indagine presentata ieri nella Sala Palladio della Fiera di Vicenza e realizzata dai docenti del Dipartimento di studi sull'impresa dell'ateneo veronese, guidati dal professor Andrea Lionzo – e costantemente vagliata da un comitato scientifico, composto dai professori Giorgio Brunetti, Alessandro Lai e Diego Lubian –, lascia aperta ogni chiave di lettura, ma si concentra soprattutto su quella che la maggioranza delle imprese ha vissuto come una vera e propria rivoluzione. Per certi versi ancora in corso. Ci sono parole chiave per l'economia di questo territorio, come ad esempio il termine distretto, che appartengono al passato, almeno per come vengono comunemente intese.
Nella "pozione" che ha innescato e determinato la mutazione sono finiti tanti ingredienti e non tutti solo economici. Il distretto è passato da espressione di un territorio a motore di una rete decisamente più articolata e complessa. Molte imprese sono già arrivate al difficile scoglio del passaggio generazionale e i migliori hanno saputo trasformarlo da problema ad occasione. Per altre sono venuti al pettine i nodi di una finanza che richiede regole nuove e trasparenza: in sostanza più struttura e meno improvvisazione. C'è chi ha subito la globalizzazione dei mercati e si è mosso con crescente affanno e chi l'ha invece cavalcata perchè ha saputo cogliere per tempo i segnali giusti. C'è un problema di saper fare e di professionalità, di mestieri che i giovani hanno cominciato a rifiutare: la difficoltà di fare impresa senza avere le adeguate risorse umane e il crescente ricorso agli immigrati hanno aperto un fronte sociale importante.
La ricerca, giustamente, ha suggerito di partire da due punti saldi, che potrebbero essere viste in qualche modo come anomali. Da due primati che segnano l'economia vicentina. Quest'area ha un'incidenza del manifatturiero abbondantemente superiore rispetto al resto del Nordest e quasi doppia rispetto all'Italia. E doppia, guardando in questo caso al solo e già dinamico Nordest, è anche la percentuale della quota export sui fatturati delle imprese vicentine.
Se la forte presenza sui mecati stranieri potrebbe essere considerata come un valore, l'incidenza del manifatturiero è tradizionalmente letta come una negatività. Vicenza, però, come testimonia l'indagine, ha saputo inventare una sua strada originale sostenuta da quello che il prof. Lionzo e i suoi colleghi definiscono "dinamismo creativo" degli imprenditori, una spinta incessante al cambiamento e alla creatività nel modo stesso di fare impresa. Alla fine, pur tra luci ed ombre, i nuovi percorsi virtuosi modificano ma non snaturano certo la manifattura, che proprio nella continua reattività ai cambiamenti in atto ritrova lo zoccolo duro della propria tradizione.
Non stupisce certo che questa analisi, su un percorso decennale, si sovrapponga esattamente nelle sue conclusioni a quelli che altra fonte ha tracciato come scenari futuri. Il recente rapporto della Fondazione Zoè (Zambon Open Education) sottolinea che il principale punto di forza dell'economia industriale vicentina sarà la sua capacità di rimanere creativa. «L'industria manifatturiera - scrivono gli autori del rapporto Zoè - resterà comunque la base della crescita dell'economia locale, che a causa della globalizzazione riguarderà soprattutto il "motore" delle imprese, il mantenimento del "cervello" di attività in ampia misura delocalizzate». Il tutto con un modello di business impostato su qualità, flessibilità, servizio e conquista di nicchie globali.
La ricerca del pool guidato dal prof. Lionzo indica tre fasi principali negli ultimi dieci anni: lo sviluppo fino alla soglia del terzo millennio, il ridimensionamento fino al 2003, la successiva ristrutturazione. Un percorso accidentato sulla strada del cambiamento, vissuto con intensità e risultati diversi dai settori economici con la meccanica e la metallurgia a tirare la volata, mentre la concia e il tessile abbigliamento hanno avuto andamenti selettivi e l'orafo sta ancora faticosamente cercando una sua nuova collocazione nel panorama mondiale. In maniera dettagliata e precisa dati e tabelle certificano tutto questo "viaggio", mettendo in evidenza come le performences migliori siano state conquistate da quelle aziende, non importa di che dimensione, che hanno saputo diventare i nuovi punti di riferimento per il territorio; aziende leader che hanno creato una rete alternativa rispetto all'ormai vecchia rete distrettuale e che stanno guidando lo sviluppo anche sui mercati internazionali, salvaguardano nel contempo la manifattura ma soprattutto il patrimonio "house" di conoscenze e di professionalità.
Il suggerimento per il futuro del prof. Lionzo e dei suoi colleghi è «continuare con l'upgrading qualitativo delle produzioni anche nei settori tradizionali e favorire la riconversione delle risorse verso settori con maggiore contenuto tecnologico».

I NUMERI

66.079
Imprese vicentine
Tra i principali settori in cui operano, la meccanica copre
il 27% del mercato,
la metallurgia il 19 per cento. Particolarmente attivi
i comparti orafo (6% rispetto all'1% dell'Italia) e della concia (12% rispetto al 4% nazionale)
374mila
Gli occupati
I lavoratori del territorio
37,6%
La meccanica
L'incidenza del comparto
sul fatturato di Vicenza
(16,8 miliardi di euro)

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