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Newsletter del 20 Gennaio 2009

La rabbia delle Pmi contro le banche

Paolo Bricco
Franco Vergnano
MILANO
Delusi sì. E parecchio. Il Governo non riesce a trovare sostegni fiscali per i piccoli imprenditori. Eppure sono state proprio le Pmi a far crescere l'occupazione negli anni in cui la grande impresa, invece, si ristrutturava e alleggeriva gli organici. Unanime il consenso alla lettera di Paolo Bastianello, piccolo imprenditore veneto, pubblicata ieri dal Sole 24 Ore.
Da Uboldo, 22 chilometri da Varese, l'imprenditore di seconda generazione, Flavio Radrizzani, 58 anni, che guida la società Adr specializzata in assali per rimorchi, tuona contro «la speculazione» e chiede regole precise: «Non è possibile – sottolinea infervorandosi - che noi stiamo tutti i giorni in fabbrica lottando per essere competitivi e poi c'è qualcuno che, invece di andare a giocare ai cavalli, si diverte con i ""future" spingendo come un pazzo in altalena le materie prime che noi lavoriamo». Dalle officine di Uboldo dove ci sono 160 persone è «veramente difficile fare un minimo di programma con materiali che, in seguito ai future impazziti, subiscono in pochi mesi sbalzi molto rilevanti. In queste condizioni confezionare i listini vendita è davvero un terno al lotto».
E Radrizzani chiede con determinazione regole precise per i mercati e le Borse internazionali delle materie prime in modo che il «fenomeno, per noi devastante, venga in qualche modo imbrigliato. Sappiamo benissimo che sarà impossibile evitarlo del tutto, anche perché alcuni strumenti risultano abbastanza utili per effettuare le coperture sugli acquisti a termine. I Governi devono però intervenire per contenere il fenomeno in modo da lasciarci lavorare con maggior tranquillità».
Pure da Reggio Emilia sottolineano i problemi finanziari delle Pmi: «Si è bloccato il mercato del leasing», denuncia Massimo Zanichelli, 55 anni, presidente della Sachman Rambaudi: il nome, anche se ha un'assonanza tedesca, rappresenta semplicemente la crasi dei due fondatori, i signori Sacchi e Manfredi che nel 1962 diedero i natali all'azienda emiliana specializzata in fresatrici che, pochi anni fa, rilevò dal fallimento un marchio piemontese noto in tutto il mondo. «Abbiamo - spiega preoccupato Zanichelli – quattro macchine finite in magazzino. Ma i nostri clienti, pur volendo ritirarle, non riescono perché gli istituti di leasing rifiutano i contratti». Che cosa è successo? Che, in seguito allo tsunami finanziario, le società specializzate non vogliono più sottoscrivere convenzioni per i nuovi macchinari perché altrimenti abbasserebbero i loro "tier" (gli indici tecnici che sono una specie di "rating") e questo procurerebbe loro l'obbligo di ricapitalizzazione, un terreno sul quale oggi nessuno ama avventurarsi.
«E così – prosegue Zanichelli – pur di svuotare il magazzino ci siamo trasformati in "consulenti" dei nostri clienti e stiamo cercando di trovare i sistemi più adatti per convincere gli istituti di credito con i quali lavoriamo a trovare il modo di finanziarli».
Divertente la testimonianza di Angela Picco, 59 anni portati con disinvoltura, che guida l'azienda di famiglia a Castano Primo, vicino a Milano. Una Pmi che è leader di nicchia nella costruzione di mandrini e ingranaggi, che «ha rischiato grosso per i ritardi nei pagamenti di colossi guidati da top manager, tutti con stipendi d'oro».
Oggi, continua l'imprenditrice, «nemmeno le suore vogliono più fare le ostie a mano, chiedono le apposite mini-presse. Tanto per dire l'importanza del manifatturiero. Eppure il Governo non ci ascolta in nessun modo. Ma il vero pericolo è la deindustrializzazione dell'Italia. E senza industria, non esistono neanche i servizi. E, di conseguenza, non ci può essere ricchezza da distribuire».
Le difficoltà non risparmiano il terziario industriale e la logistica, che restano tasselli essenziali per il mosaico produttivo italiano. «La mia famiglia - dice Guido Giambuzzi, a 36 anni titolare della Capitano Amatori, che fa stoccaggio delle materie prime nel porto di Ancona - ha investito per decenni: oggi abbiamo trentamila metri quadrati di costruito di proprietà. Dunque, il rapporto con le banche, che chiedono garanzie reali, attualmente non è particolarmente critico. Ma chi, nel mio settore, non ha investito nel mattone, si trova in gravi difficoltà. Vedo quello che accade nelle attività portuali ai piccoli spedizionari. Sono in gravi difficoltà. Per le banche, in particolare quelle grandi, sei un numero».
Ogni giorno, mentre si prova un crescente senso di solitudine, c'è una notizia peggiore delle altre. «Il mio collaboratore in America - dice Luciano Barbera, a 70 anni titolare della Carlo Barbera e della Luciano Barbera, tessuti e vestiti di alta qualità a Pianezze Biellese - mi ha appena annunciato che nell'ultimo mese le vendite sono calate del 50 per cento. I ricchi di Palm Beach sono in ginocchio: corrono dai gioiellieri a riportare i braccialetti appena comperati per le mogli. E questo si ripercuote su tutto». Le cose sui mercati esteri si fanno maledettamente complicate. E, per uno dei minicampioni del lusso italiano il cui fatturato scenderà dai 30 milioni del 2007 ai 22 milioni di quest'anno, la difficoltà di contesto si assomma alla questione finanziaria. «Oggi - dice Barbera - scontiamo un milione e mezzo di mancata liquidità dovuta a pagamenti che non arrivano. Non è affatto semplice. Abbiamo sempre e solo lavorato. Quest'anno, passeremo il peggiore Natale da quando, nel 1949, mio padre Carlo fondò l'azienda».
Non c'è soltanto il senso di solitudine che può cogliere l'imprenditore di fronte all'impiegato di banca. Il nodo della finanza, oggi, rende ancora più esarcebato il rapporto della piccola impresa di elevato profilo con i meccanismi del mercato globale. L'esplosione dei mercati finanziari malati fanno emergere, nell'umore dei nostri imprenditori di territorio, accenti tremontiani. «Si sente con ancora più evidenza - osserva Barbera - la mancanza di regole che tutelino i nostri prodotti».
La globalizzazione non va accettata supinamente, in tutti i suoi aspetti: «Ha ragione Tremonti a volere installare dei semafori. Bisogna creare dei meccanismi regolatori che possano interrompere fenomeni deleteri per il nostro made in Italy. Per la finanza internazionale non è stato fatto. Per lo scambio delle merci, occorre pensarci prima che sia troppo tardi».
paolo.bricco@ilsole24ore.com
franco.vergnano@ilsole24ore.com

 
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