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Newsletter del 23 Marzo 2009

Soffre un'azienda su quattro

Paolo Bricco
MILANO - Nessuno può più prescindere dai Brambilla e dagli Esposito. I piccoli e medi imprenditori hanno vinto la ritrosia ad apparire e, adesso, escono allo scoperto.
Oggi e domani a Palermo, al convegno organizzato da Confindustria Piccola Industria, si discuterà lo studio «Oltre la crisi. Pmi classe dirigente». Un volume a più voci, curato dall'economista del Politecnico di Milano Giangiacomo Nardozzi e dal direttore del Centro Studi di Viale dell'Astronomia Luca Paolazzi, che analizza i punti di forza e i limiti di un tessuto industriale che, negli ultimi 15 anni, si è riconfigurato imperniandosi sempre più sulle Pmi, con il contestuale ridimensionamento delle ex partecipazioni statali e la minore centralità delle famiglie storiche del nostro capitalismo.
Una realtà nascosta e poco appariscente, che non si sottrae però alle proprie crescenti responsabilità, dal momento che poco alla volta i suoi protagonisti hanno preso coscienza delle responsabilità a cui sono chiamati dai nuovi assetti strutturali dell'economia italiana, oltre che da una crisi particolarmente cruenta. Una recessione che sta mettendo a dura prova la fisionomia finanziaria delle aziende, in particolare le piccole e le medie: secondo l'ultima analisi del Centro Studi Confindustria, è di 24,5 il saldo netto dei giudizi delle aziende che segnalano una restrizione di credito (in Spagna, per citare un Paese competitor, è di 43,8%), mentre la carenza di prestiti ostacola l'attività del 9,9% delle imprese italiane (21,4% in Spagna). Sempre secondo il Centro Studi Confindustria, le difficoltà finanziarie fanno il paio con quelle industriali, ben rappresentate dall'esplodere della cassa integrazione, che si avvicina ai massimi del 1993: in febbraio il monte ore della Cig annualizzato è stato pari all'1,16% della forza-lavoro, contro lo 0,8% di gennaio. Il picco, nel 1993, era stato dell'1,4 per cento. Questa recessione sta picchiando su un tessuto industriale fondamentalmente sano. Un sistema a notevole caratura "molecolare", come la definisce lo studio che servirà da base alle discussioni di oggi e domani a Palermo, in cui i piccoli e i medi, con la loro vitalità un poco febbricitante, sono una parte essenziale. Basta osservare l'andamento del valore aggiunto industriale a prezzi correnti che, fatto 100 il livello del 1998, ha superato per l'Italia quota 120, dietro alla Germania (130 punti), ma davanti alla Francia (110). Oppure, il problema delle quote nazionali sul commercio mondiale, che se espresse in valore mostrano dal 2002 il costante netto calo di Regno Unito e Francia da un lato e, dall'altro, una discreta tenuta dell'Italia. La complessità di questo frangente è testimoniata dall'intrecciarsi di questi elementi positivi, cioè la capacità di creare valore aggiunto industriale e di esportare beni puntando su una qualità incorporata nei prezzi, con l'annosa questione della bassa produttività. La variazione media annua di quest'ultima, fra il 1997 e il 2007, è stata nulla per il nostro settore privato, a fronte di una media comunitaria vicina al 2 per cento.
Tutto questo, però, non deve soltanto fare i conti con la recessione. C'è un problema di contesto generale: l'indice che calcola la facilità degli adempimenti amministrativi per le imprese vale 1 per gli Stati Uniti, 6 per il Regno Unito, 12 per il Giappone, 20 per la Germania, 31 per la Francia, 38 per la Spagna e addirittura 53 per l'Italia. In uno scenario così complesso, la crisi non ha compresso la spinta che viene dal basso: per il 53,9% degli imprenditori, molti dei quali saranno oggi e domani a Palermo (13 e 14 marzo, NdR), è necessario continuare a produrre e a lavorare. E bisogna farlo ponendo più attenzione di un tempo alla qualità dello sviluppo.

 
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