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Newsletter del 21 Settembre 2009

Troppi capitali imboccano strade sbagliate
di di Guido Gentili

Onestà intellettuale vorrebbe che si accendesse un faro, come si dice in gergo mediatico-finanziario, sul fatto che a due anni dallo scoppio della grande crisi una massa enorme di liquidità abbia di nuovo trovato casa. Dove? Nella fabbrica delle bolle, cioè nel luogo che a parole si sarebbe dovuto radere al suolo dopo la "scoperta" che una vorace finanza senza regole (legali ed etiche) alimentava, di debito in debito, più che altro sé stessa.
I numeri certificano questo travaso tanto immane quanto per nulla virtuoso, nel senso che si finisce per alimentare le stesse vituperate modalità che hanno portato all'avvitarsi della crisi. Morya Longo ne ha riferito ampiamente sul Sole 24 Ore di domenica scorsa. Federal Reserve e Banca centrale europea hanno inondato gli istituti di migliaia e migliaia di dollari ed euro, e con loro un po' tutti i governi del mondo hanno fatto a gara nel sostegno al sistema finanziario. Il tutto, naturalmente, a tassi bassi.
Chi non ricorda la torrida stagione dei fallimenti dopo la deflagrazione dei mutui subprime negli Stati Uniti e il blocco del mercato interbancario sulla scia dei sospetti incrociati delle banche? Perché la crisi di liquidità non si trasformi in una recessione, si disse, bisogna tamponare le falle e sostenere, soprattutto, l'economia reale. Dunque, pompiamo soldi nel sistema, in modo che le imprese e le famiglie (che in Italia, in particolare, spesso coincidono) non rimangano a corto di ossigeno finanziario. Facciamo ogni sforzo possibile, riattiviamo il circuito buono del credito e lasciamo in soffitta quello cattivo, che in fondo ha prodotto solo carta e lautissimi guadagni (non sociali ma molto personalizzati).
Fatto sta che quest'anno le banche, in tempi di eccezionale espansione della moneta, hanno prestato alle imprese circa mille miliardi di dollari, un terzo di quelli affidati nel 2008 e appena un quinto di quelli distribuiti nel 2007. Eccole, le basi del leggendario e temutissimo credit crunch, non a caso oggetto ancor oggi delle preoccupate analisi delle stesse banche centrali e di istituzioni come il Fondo monetario e l'Ocse. I soldi sono arrivati sì, ma hanno fatto un giro diverso da quello previsto, tornando a rimpinguare i mercati finanziari, in prima fila listini azionari e materie prime. Cioè i luoghi dove s'annidano e prosperano le bolle.
«È il mercato, bellezza», si potrebbe rispondere, e le speculazioni ne sono da sempre il sale. Vero, ma da qui ad assistere al ritorno della "finanza carta" dopo quello che abbiamo visto, sperimentato e denunciato, il passo non può essere né breve né scontato. Dunque il faro va acceso, e presto.
Quanto al nostro paese, l'Italia non figurava, come è noto, in prima fila nella crisi finanziaria. Un sistema bancario storicamente più prudente (qualcuno direbbe: più arretrato) si è dimostrato più solido di molti altri, e questo è un fatto. Ma sono un fatto, e non un'invenzione di comodo, anche le difficoltà che le imprese, soprattutto quelle medio-piccole, continuano a incontrare sul mercato del credito. Così come è un dato il lungo balletto sui Tremonti-bond per 10-12 miliardi messi a disposizione a titolo di rafforzamento della patrimonializzazione delle banche.
Se non un faro, almeno una luce merita anche qui di restare accesa.
guido.gentili@ilsole24ore.com
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