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Newsletter del 26 Aprile 2010

La crescita frenata da troppi monopoli e pochi servizi

di Paolo Bricco
Un paese senza. Un paese con. Gli economisti non avranno la genialità di un Arbasino, la curvatura della sua intelligenza e del suo linguaggio. Ma, ieri a Parma, al convegno del Centro studi di Confindustria, bevendo caffè e sbocconcellando parmigiano e fette di prosciutto crudo arrotolate, hanno potuto esercitare la loro fantasia di fronte a un paese che ha molte cose e molte cose non ha. Da flâneur stimolati dall'agenda proposta dal capo ufficio studi di Viale dell'Astronomia Luca Paolazzi, dai raffronti internazionali del commissario europeo alla concorrenza Joaquìn Almunia, da un uomo della tradizione comunista che sa di economia e di territorio come Pierluigi Bersani e dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti, hanno espresso le loro convinzioni.
«Un paese senza? - dice Carlo Stagnaro, direttore della ricerca dell'Istituto Bruno Leoni - direi piuttosto un paese con. Un paese con oligopoli e con monopoli de facto. Nell'energia e nei trasporti». Stagnaro, ultraliberista, cita chi non ti aspetteresti: «Come direbbe Karl Marx, non abbiamo nulla da perdere, se non le nostre catene. Questi mercati vanno aperti. A beneficiarne, sarebbero soprattutto le piccole e le medie imprese. Perché, con gli oligopolisti, i big player ci possono trattare. Gli altri, no. Vengono solo strozzati. Il nostro è un paese con un'energia che costa il 30% in più rispetto alla media europea».
Certo, lo si dice e lo si ridice. Lo si ripete sempre. Ma è così. Esistono delle riforme di struttura che non sono più rimandabili. «Ci vuole una razionalizzazione delle regole, perché sennò alcune leve d'investimento non potranno mai essere adoperate», dice Gregorio De Felice, capo ufficio studi d'Intesa Sanpaolo, rappresentante della tradizione italiana degli economisti di banca. L'Italia è un paese senza infrastrutture. Con molti livelli di governo. E una bellicosità diffusa che fa il paio con costruzioni legislative spesso irragionevoli e con equilibri barocchi fra i poteri. «Vi sembra possibile - si chiede De Felice - che una comunità montana possa bloccare un'opera da 10 miliardi di euro?».
Oggi, nella contrapposizione fra un paese con e un paese senza, il problema è anche capire che cosa sia l'Italia. L'ufficio studi di Banca Intesa ha elaborato un modello basato su dieci indicatori di rischio finanziario, che considera non solo i conti pubblici classici ma anche le famiglie, le imprese e la dinamica dei flussi finanziari da e verso l'estero. Su dieci paesi europei, è al quinto posto come solidità complessiva, molto vicina alla Francia, che è quarta. «Dunque - spiega De Felice - non si corrono rischi di aggressioni speculative sull'esempio greco. C'è, però, un altro problema: la crescita economica, che è troppo bassa». Il differenziale con la Francia e con la Germania resta eccessiva. «Lo zero virgola qualcosa - continua De Felice - non basta più. Soprattutto con l'avvicinarsi della ripresa. Alla lunga, si rischia la coesione sociale. In questo contesto, gli investimenti in infrastrutture sono essenziali. L'Italia è un paese senza buone autostrade, senza ferrovie efficienti, senza veri aeroporti».
Nella complessità di un passaggio storico che mette sotto pressione tutto il tessuto sociale e l'intero telaio industriale italiano, l'impresa assume una nuova centralità. Nessuno, a Parma, si nasconde dietro un dito: basti ricordare che, secondo l'ufficio studi di Ca' de Sass, nel 2011 il fatturato sarà inferiore del 15% rispetto al 2007, ultimo anno ante crisi. «Tuttavia - nota Francesco Daveri, economista neoclassico tradizionale - fra le buone notizie dell'ultimo periodo, ci sono i segnali di diffusione del nostro export su mercati non europei». L'assioma dello sviluppo solo e soltanto intraeuropeo è caduto. È cambiato il mondo: la crescita fuori dall'Europa è più forte di quella in Europa. «Gradualmente - dice Daveri - le imprese italiane la stanno intercettando».
Non senza la Germania, ma anche con la Cina. Mica senza la Francia, ma pure con il Brasile. Soltanto che, per andare in Asia e in Sud America, servono coordinamento e robustezza. «Il coordinamento - spiega Patrizio Bianchi, direttore per dodici anni della rivista prodiana L'Industria - è essenziale. Occorre presentarsi all'estero come sistema italiano. Di questo coordinamento, se ne è visto poco. Troppe le iniziative, nazionali e locali, pubbliche e private, in ordine sparso». Robustezza significa invece crescita dimensionale. «Insomma - s'infervora Bianchi - per andare all'estero bisogna aumentare la dimensione media delle nostre aziende. Costa così tanto defiscalizzare le fusioni? Perché le nostre medie aziende non devono diventare grandi? Con coraggio, non si può più fare senza».
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L'ITALIA VISTA DA ECONOMISTI E FINANZIERI


Patrizio Bianchi

Professore di politica economica e rettore dell'università di Ferrara

«Defiscalizzare le fusioni per favorire la crescita dimensionale e fare sistema per competere all'estero»



Gregorio De Felice

Responsabile dell'Ufficio studi di Intesa Sanpaolo

«Troppi livelli di governo: una comunità montana non può bloccare un'opera da dieci miliardi di euro»



George Soros

Finanziere e filantropo, creatore del Soros Fund Management

«La Merkel non si faccia condizionare da pressioni pre-elettorali: non chieda alla Grecia tassi di mercato»



Joseph Stiglitz

Professore alla Columbia University e premio Nobel per l'economia

«Virgolettato Virgolettato

«Nei circoli accademici comincia a girare la tesi provocatoria di un'uscita della Germania dalla Ue»

 
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