A CURA DI
Angelo Busani
Emanuele Lucchini Guastalla
La "successione" dell'imprenditore e la sua tempestiva pianificazione sono uno degli snodi cruciali della vita di un'azienda, indipendentemente dal fatto che essa sia nella forma della impresa individuale oppure della società di persone o di capitali. Il problema coinvolge almeno tre ordini di tematiche:
a) l'individuazione e la formazione dell'erede che sembra in grado di proseguire l'attività (e, in caso di più eredi, la ripartizione tra essi dei vari "ruoli" nell'impresa: ad esempio, commerciale, tecnico, amministrativo e così via);
b) la valutazione dell'opportunità di anticipare l'evento con strategie di trasmissione dell'azienda durante la vita dell'imprenditore;
c) la valutazione dello scenario che si prospetterà in futuro se non è stata avviata e praticata nessuna strategia di pianificazione (gli effetti sono riassunti nel grafico qui a destra).
Purtroppo, quest'ultima situazione è molto diffusa sia perché molti imprenditori faticano a passare lo scettro del comando, sia perché le concrete situazioni familiari spesso rendono difficile la pianificazione durante la vita dell'imprenditore. Questo tuttavia è un problema assai grave: in gioco ci può essere la sopravvivenza stessa dell'impresa. Non sempre, infatti, i discendenti dell'imprenditore hanno medesime capacità, aspirazioni, intuizioni. Qualcuno può essere all'altezza del compito, ma viene ostacolato nella conduzione dell'impresa da quelli che non vi sono stati coinvolti e che, prima o poi, vogliono partecipare alla gestione pur senza averne le capacità. Altre volte, la comune conduzione dell'azienda - anche tra discendenti che siano abili imprenditori - sfocia in una costante litigiosità.
Alla soluzione di questa problematica (ancor più aggravata dal fatto che la quasi totalità delle nostre imprese sono di matrice familiare) il legislatore ha cercato di dare un contributo nel 2006 con l'introduzione del patto di famiglia (articoli 768 e seguenti del codice civile), contratto con il quale si può programmare la trasmissione della ricchezza familiare, prevalentemente rappresentata dall'impresa.
Prima della riforma, il tema della organizzazione della successione di un imprenditore era una mission impossible perchè non era consentito stipulare patti, durante la vita dell'imprenditore, relativi alle sorti dell'azienda di famiglia dopo la morte dell'imprenditore stesso. Oggi, invece, è lecito l'accordo con il quale:
a) l'imprenditore trasferisce l'azienda (se si tratta di un imprenditore individuale) o le sue partecipazioni societarie (se si tratta del socio di una società di persone o di una società di capitali) a uno o più dei suoi "discendenti", ad esempio, i suoi figli o i suoi nipoti;
b) gli altri stretti familiari non continuatori dell'impresa di famiglia vengano liquidati da parte dei discendenti dell'imprenditore che hanno conseguito l'attribuzione del l'azienda; la nuova disciplina del patto di famiglia cerca infatti di realizzare lo scopo di favorire il passaggio generazionale delle aziende familiari con il minor sacrificio possibile dei familiari non partecipi dell'attività aziendale; pertanto, essa è caratterizzata dalla ricerca del trattamento meno sperequativo possibile tra il familiare destinatario dell'azienda e gli altri suoi parenti.
La legge per questo impone che al patto partecipino tutti coloro che sarebbero qualificabili come «legittimari» del disponente (e cioè di coloro a cui spetta obbligatoriamente una quota del patrimonio del de cuius) se si aprisse la successione vale a dire, il coniuge dell'imprenditore e tutti i suoi figli (o, in caso di loro premorienza, i loro discendenti). Il patto di famiglia, quindi, non coinvolge altri parenti diversi da questi.
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