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Newsletter del 28 Maggio 2012

Una spinta social all'e-commerce
di Alessandro Longo

«Tutti i siti e-commerce italiani stanno testando o almeno considerando i social network come nuovo canale per raggiungere i clienti», dice Roberto Liscia, presidente di Netcomm, il Consorzio del commercio elettronico. È questa la nuova frontiera di sviluppo, «ma a oggi i social network sono usati ancora in modo superficiale dalle aziende e-commerce italiane», replica Riccardo Mangiaracina, ricercatore del Politecnico di Milano. «Negli Usa siamo agli inizi del fenomeno, che però crescerà senz'altro», aggiunge Krista Garcia, analista di eMarketer. Le tre opinioni tracciano i confini della questione: la strada da fare per sfruttare i social media in chiave e-commerce è ancora lunga, ma l'inizio è promettente. «Gli americani compreranno prodotti tramite social network per 3 miliardi di dollari quest'anno, contro 1 miliardo del 2011 e 14 miliardi previsti per il 2015», dice Garcia, citando stime di Booz & Company.
Il problema principale in Italia è che «le aziende non integrano ancora i social network con l'e-commerce: utilizzano soprattutto Facebook, meno Twitter e, da poco, Pinterest; ma quasi solo come vetrina che si aggancia al sito di e-commerce e per fare supporto ai clienti dopo l'acquisto – dice Mangiaracina –. La sola eccezione è Privalia: su Facebook permette di accedere in anteprima ad alcune vendite. Questo crea un circolo virtuoso che rafforza community e quindi il business».
La pratica di fare offerte esclusive è considerata, da eMarketer, tra quelle da imitare e adottate dalle avanguardie (americane) del social commerce: Startbuck's, Best Buy, il sito-negozio di Lady Gaga, Asos (vestiti), Victoria's Secret. Altre buone pratiche: possibilità di provare il prodotto su Facebook ("tryvertising"), raccomandazioni regalo (consigliare prodotti all'utente in base ai suoi interessi e stimolarlo a mostrare ai propri amici del network quanto ha acquistato). Eventi: costruire una campagna social attorno a un evento e così portare utenti sul proprio sito e-commerce.
«Un'altra buona idea è coinvolgere gli utenti con progetti che richiedano la loro interazione. Giochi, per esempio: se vendi vestiti, puoi chiedere loro di suggerire il look migliore per un personaggio – dice Mangiaracina –. La presenza sui social è un costo, sottovalutato: un paio di persone dell'azienda devono comunque seguire la discussione. Sono risorse sprecate se poi il social non è integrato con il proprio e-commerce – avverte quindi Mangiaracina –. Tra l'altro, solo grazie a un'integrazione delle vendite è possibile misurare il fatturato aggiuntivo ottenuto grazie ai social network».
Liscia però è ottimista: «Nascono e crescono le piattaforme che sposano e-commerce e social: gli italiani Blomming, Youmpa, Ulaola.com. Entro fine mese arriverà da noi l'inglese Ejero.com e sarà una rivoluzione». L'utente compra su uno dei siti affiliati a Ejero.com e poi può suggerire lo stesso prodotto ad amici del proprio network. Se così genera un altro acquisto, i due utenti (chi fa e chi riceve il suggerimento) ricevono una somma di denaro (proporzionale al valore del prodotto). È un'alternativa alla pubblicità tradizionale: il negozio concede uno sconto per ottenere una vendita in più tramite spontanee raccomandazioni social, veicolate da Ejero.com.
Una cosa è certa, secondo Liscia: «L'e-commerce italiano ha bisogno dei social media per crescere, perché grazie a loro può aggiungere emozioni agli acquisti». È un fattore che finora è mancato, in sostanza: i social sono usati quasi soltanto nella fase di pre e post-vendita (ricerca di consigli, commenti su quanto comprato). Per colpa di quell'assenza di integrazione, restano insomma su un binario parallelo rispetto al cuore del negozio e-commerce. «Ma è fondamentale fare questo passo ulteriore. Soprattutto nel nostro Paese, dove la maggior parte dei ricavi e-commerce provengono da viaggi e vestiti, cose che hanno da sempre un alto contenuto emozionale e che quindi ben si sposerebbero con i social network».
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le opportunità...

Un'espansione low-cost per il business

L'ecommerce consente di espandere le proprie vendite, a livello nazionale e internazionale, spendendo molto di meno rispetto all'apertura di una sede fisica. Secondo il Politecnico di Milano, lo sbarco online aumenta i fatturati tanto quanto l'aggiunta di uno o due punti vendita fisici, al solito, in Italia (dipende da quanto si investe online e quanto si è bravi a gestire i nuovi canali). Vendere all'estero è interessante soprattutto per le aziende specializzate nei prodotti del made in Italy. L'ecommerce estende anche il tempo degli acquisti (24 ore su 24) e così consente ai negozi di intercettare quei clienti che lavorano fino a tardi o hanno poco tempo per comprare nei negozi fisici. Secondo Boston Consulting Group, le pmi che fanno ecommerce hanno aumentato il fatturato dell'1,2 per cento annuo (2007-2010), contro il -4,5% di chi non aveva una presenza online.

L'ottimizzazione del canale tradizionale

È un'opportunità per ottimizzare il canale di vendita tradizionale. L'ecommerce prende in carico alcune fasi del processo commerciale e così consente all'azienda di sgravare il canale di vendita tradizionale (più costoso di quello online). Può ottimizzare quindi i costi e il personale. Questo vantaggio resta anche nei casi in cui l'utente non completa l'ordine online. L'ecommerce serve infatti anche per la fase di prevendita: il cliente può leggere sul sito del negozio le caratteristiche e i prezzi dei prodotti in catalogo ed evitare quindi di chiedere al commesso. Poi può andare comunque in negozio, ma solo per comprarli o per ritirarli (anche l'acquisto può essere fatto online). In questo modo, l'azienda può ridurre i picchi di affluenza, normalizzandola su una media più stabile, evitare assunzioni e gestire meglio (senza calca) i clienti che arrivano in negozio.

Migliorare il rapporto con i propri clienti

Grazie al proprio sito di ecommerce e agli annessi strumenti di analytics, un negozio o una catena possono conoscere meglio la propria base clienti e instaurare con loro un rapporto più personalizzato. Possono studiare i comportamenti di acquisto individuali e collettivi, come anche comprendere chi e quanti hanno visto un prodotto senza poi comprarlo (cosa molto invece difficile da rilevare in un negozio fisico). Adattare di conseguenza il catalogo, la vetrina e la struttura del sito per assecondare meglio le esigenze dei clienti, catturarne l'attenzione e non farli fuggire prima che l'ordine sia completo. Se l'utente fornisce un elemento di contatto (mail, profilo social...), il negozio può mandargli offerte personalizzate (anche sconti, coupon), consigli basati sui precedenti acquisti o sui gusti espressi nel proprio profilo.

... e le criticità

Una struttura logistica che deve essere adeguata

Chi opera solo sui canali tradizionali è abituato a fare grandi spedizioni, dal magazzino ai punti vendita. Con l'ecommerce deve quindi imparare a gestire ordini di singoli prodotti: adeguando la propria organizzazione e allestendo una nuova area per il packaging.
Le spedizioni dal sito devono avere poi un rapporto ottimale e flessibile tra tempi e costi, con diverse opzioni (chi paga di più riceve il prodotto prima). A questo scopo, l'azienda deve ottimizzare i tempi di gestione ordine (portandoli a un massimo di cinque ore dall'acquisto alla spedizione). Deve essere brava a negoziare le condizioni del servizio con il corriere e in questo può aumentare la propria forza contrattuale consorziandosi con altre aziende. Errore tipico, tra i siti italiani di ecommerce, è sottovalutare l'importanza del customer care: l'azienda deve avere personale dedicato, per rispondere subito a chi chiede informazioni o segnala un problema.

La semplicità d'uso convince a proseguire

Non è facile strutturare il sito in modo che l'utente riesca a identificare subito quello che vuole. Un errore comune è fare siti con scarsa usabilità, che disorientano il cliente. Siti mal congegnati non solo lo fanno fuggire, ma anche gli comunicano un'immagine negativa dell'azienda. L'usabilità è fondamentale anche nella fase che va dal carrello al pagamento: deve essere la più snella possibile, avere pochi passi, richiedere il minimo indispensabile di informazioni (sbagliato sommergere l'utente di tante domande che servono solo a profilarlo ma che sono inutili ai fini della vendita). Il sito e le risorse sottostanti devono essere tali, inoltre, da rendere velocissimo il caricamento delle pagine nella fase del pagamento (altrimenti l'utente può temere per la sicurezza dei propri dati e chiudere tutto). I siti migliori hanno solo il 20% di tasso di abbandono del carrello (fuga poco prima dell'acquisto), i peggiori, l'80 per cento.

Lo snodo cruciale della sicurezza online
È importante far percepire la sicurezza del sito al cliente, dotandosi di certificazioni Visa o Mastercard, fino al bollino Netcomm. Chi rischia davvero i soldi è però l'azienda: è tenuta ad accertare l'identità di chi usa carta di credito e quindi a non accettare carte rubate. Deve investire nell'accertamento anti-frode, con gli strumenti dei circuiti di carte di credito. Per completare l'acquisto, questi strumenti chiedono una password aggiuntiva, decisa dal cliente e immessa sul sito del gestore della carta. Il problema non si pone se la banca richiede il token per i pagamenti online. Altri strumenti fanno controlli incrociati: se il nome e l'indirizzo del destinatario di un pacco sono diversi da quelli del titolare della carta, scatta allarme. E il pagamento viene sospeso fino a ulteriore controllo. Infine, bisogna investire in sistemi sicuri da attacchi e che assicurino una buona continuità di funzionamento.

(Schede a cura di Alessandro Longo)

i dieci passaggi

1. L'IDENTITÀ DEL BRAND
Il primo passo? Definire l'identità del brand. Occorre valutare il contesto attraverso un'analisi degli scenari competitivi che porti alla luce le differenze dell'attività nel mondo fisico con l'integrazione fra online e offline. Inoltre, bisogna capire quale sia il pubblico di riferimento, presente e potenziale.
2. L'IDENTIFICAZIONE DEGLI OBIETTIVI
Dopo aver definito il contesto e l'identità, il passaggio successivo è quello di progettare un piano di marketing e comunicazione del brand verso l'esterno, anche attraverso l'unione di canali online e offline. Sarà necessario stabilire quali sono gli obiettivi per le attività commerciali.
3. LE RISORSE E I FORNITORI

Ancora prima di pensare a uno spazio di ecommerce occorre definire le responsabilità interne attraverso una mappatura delle risorse umane disponibili. In particolare bisogna scegliere i fornitori, a partire dalle utenze. Occorre inoltre valutare quali servizi affidare in outsourcing.
4. LA SCELTA DEL SITO
Occorre scegliere se costruire un proprio spazio, con un tempo stimato di 270 ore tra il primo brief e la pubblicazione del sito. Oppure ci sono piattaforme dove aprire vetrine online: eBay parte da 19,95 euro al mese e tariffe per categoria, Amazon chiede 0,99 € mensili e commissioni sugli acquisti dei prodotti.
5. LA SCALETTA DELLE SCADENZE
Al piano triennale si affianca l'identificazione di un'agenda per definire nel dettaglio le attività e monitorare i processi in corso: occorre prevedere le scadenze finali raggiungibili, decidere le tappe intermedie, assegnare le responsabilità.

6. LA LOGISTICA
È necessario quindi pensare all'assistenza tecnica. Se necessario, bisogna affittare un proprio magazzino e stabilire accordi con corrieri espressi specializzati. eBay, in particolare, prevede sconti sulle consegne, gestite con partner esterni. Amazon ha una propria piattaforma per la logistica.
7. IL DEBUTTO ONLINE
È il momento di lanciare lo spazio per l'ecommerce: bisogna coordinare le comunicazioni all'interno e all'esterno. Può essere decisa una fase di prova ("beta"), privata o aperta al pubblico. Oppure sono accessibili vetrine globali per il commercio elettronico.

8. LA GESTIONE ORDINARIA

A questo punto si tratta di pianificare lo store management a partire dai progetti per merchandising, promozioni, iniziative speciali. Sono attività gestibili anche all'esterno, in outsourcing. È un capitolo che include il controllo degli incassi e la fatturazione.

9. IL MARKETING

È opportuna una strategia crosschannel. Tra le opzioni rientrano inserzioni pubblicitarie e newsletter. Oppure, con l'affiliazione, viene gestita la promozione dei propri prodotti su altri siti. I risultati sono da analizzare con regolarità. eBay e Amazon hanno programmi interni per le inserzioni commerciali.

10. LO SVILUPPO

Confrontare i risultati raggiunti con le previsioni: è necessaria la modifica e il miglioramento dei contenuti pubblicati, dell'architettura e dei messaggi online. Può essere il caso di considerare test A/B con il confronto tra campioni di utenti per capire le conseguenze dei cambiamenti apportati.

marketing sul web

Il brand e i social media. I new media consentono ai consumatori di raggiungere ed essere raggiunti da altri consumatori e aziende sparsi in tutto il mondo, ovunque e in ogni momento. I consumatori possono leggere opinioni su un prodotto mentre fanno acquisti in un negozio e possono postare recensioni di un nuovo film mentre sullo schermo scorrono i titoli di coda. I brand devono saper cogliere questo profondo desiderio di cambiamento e adattarsi, inviare alle persone il segnale che saranno al loro fianco per accompagnarle in questo cambiamento. Verte sul «Branding attraverso i social media» la quinta uscita di Master 24, il corso di Marketing e comunicazione digitale del Sole 24 Ore, in edicola dal 16 maggio (12,90 euro più il prezzo del quotidiano).

 
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