L'e-commerce è ormai una priorità ineludibile per le imprese – soprattutto quelle medio piccole. Anche in questo ambito si vede l'affanno dell'Italia, non solo lato imprese ma anche lato consumatore. Infatti non solo l'e-commerce incide solo per il 5% sul fatturato delle aziende (rispetto al 14% della media europea), ma anche la percentuale di popolazione che ha effettuato ordini online nel 2011 è del 26,3% contro il 40,4% della media Ue a 27. E ciò nonostante i benefici siano oramai sotto gli occhi di tutti: le Pmi italiane che hanno fatto e-commerce sono cresciute dell'1,3% l'anno nel triennio 2008-2010 contro il -4,5% di chi non ha nessuna presenza online.
Come mai questo "fallimento di mercato"? Ritengo che vi siano principalmente due cause. La prima è considerare l'e-commerce un tema sostanzialmente "digitale", come se bastasse aprire una vetrina su Internet. La presenza su un sito web e la possibilità di ricevere transazioni elettroniche è certamente un prerequisito, ma è solo una piccola parte del problema.
Tra le attività che possono condizionare il successo di un progetto e-commerce ci sono – oltre all'analisi iniziale per stabilire quale prodotto vendere (dipendente non solo dai bisogni di quel mercato, ma anche dal materiale adottato, dal suo peso, dalla facilità di trasporto, ...) – le modalità di packaging ed etichettatura. Oppure la gestione del magazzino e di tutta l'attività logistica, le strategie più opportune di marketing digitale (virale, social media, keywording, …) o la gestione del post-vendita – in particolare le lamentele e soprattutto i resi (che diventa non attività residuale da minimizzare ma aspetto centrale e permanente da gestire con la massima efficienza). E come sottovalutare la componente linguistica (scrivere e rispondere – per mail o tramite call center – nella lingua del mercato di sbocco), i vari sistemi di pagamento o la rendicontazione?
Un secondo errore è pensare che le piccole imprese possano gestire direttamente la vetrina digitale. Nulla di più sbagliato: solo una piccola minoranza è in grado di farlo; la stragrande maggioranza non è in grado oggi di comprendere e seguire direttamente le evoluzioni del mercato digitale. Questo target ha bisogno di mediatori che si occupino di tutti gli aspetti legati all'e-commerce, lasciando alle imprese di occuparsi di ciò che sanno fare. Sarebbe come pretendere che un'azienda che vuole vendere in Cina impari prima il cinese e studi a fondo il sistema normativo vigente, mentre è evidente che l'azione giusta è scegliere un buon agente commerciale cinese e focalizzarsi piuttosto nel capire in profondità i gusti di quei consumatori, i loro processi di acquisto, le dinamiche distributive di quei paesi...
Per questi motivi una soluzione efficace per le piccole e piccolissime imprese deve mettere insieme in maniera integrata e trasparente tutte le attività "operative" legate all'e-commerce, lasciando alle aziende il tempo e le competenze sulle dimensioni strategiche: in quali mercati, con quali prodotti, con quali argomentazioni commerciali, quali elementi di post-vendita… I neonati contratti di rete – con tutte le forme di facilitazione e incentivazione connesse (sia pubbliche sia proposte dal sistema bancario) – sembrano dunque lo strumento ideale per far nascere questi nuovi "motori dell'e-commerce" per le piccole imprese, di fatto delle vere e proprie aziende a rete che uniscono tutte le attività operative appena evidenziate consentendo alle piccole imprese di accedere con efficacia e semplicità al mercato digitale.
Ma per cogliere le grandi opportunità offerte dall'e-commerce la vera sfida è nelle competenze che le aziende devono possedere. Non serve tanto la loro alfabetizzazione digitale (e cioè la conoscenza dei termini tecnici più in voga o l'addestramento a usare le applicazioni più diffuse), quanto piuttosto una cosa molto diversa: potremmo chiamarla una nuova "sensibilità al consumatore digitale" che aiuti le aziende a tarare i loro prodotti e costruire le argomentazioni (e strategie commerciali) più efficaci per innescare la decisione d'acquisto negli ambienti virtuali. E-commerce non vuol dire solo vendere tramite il canale digitale; ma vuol dire anche riposizionare l'azienda nel mercato e riflettere su come queste tecnologie ridefiniscono le modalità di produrre, dialogare con i propri clienti, costruire iniziative di marketing,… Ciò richiede anche una comprensione dei costi e rischi associati e una capacità di identificare e analizzare le nuove tipologie di concorrenti.
Non basta dunque aprire una vetrina digitale. Bisogna lanciare un processo sistematico di innovazione digitale. E per fare questo servono nuove competenze.
© RIPRODUZIONE RISERVATA