Dall’esperienza maturata nelle aule dei Tribunali si è diffusa l’abitudine a prevenire l’insorgere di controversie attraverso rimedi alternativi di risoluzione delle stesse, soprattutto in un settore, quello del commercio elettronico, in cui sono molteplici i fattori che inducono a preferire il ricorso a strumenti alternativi.
Tra tali fattori vi è senza dubbio il valore economico generalmente ridotto dei contratti conclusi online unito alla percezione dell’inadeguatezza del processo come strumento di tutela di questi diritti. Non a caso i volumi delle liti registrate a livello giurisprudenziale nella materia del commercio elettronico si attesta ancora su numeri assai inferiori all’effettiva mole di controversie sorte tra le parti nello specifico settore.
Una delle più significative norme in tema di commercio elettronico che si inserisce nel quadro della cosiddetta “Alternative dispute resolution” (Adr) è l’articolo 19 del Codice del commercio elettronico (Dlgs 70/2003) in tema di “Composizione delle controversie”, il quale riconosce alle parti la possibilità di adire organi di composizione extragiudiziale che operano anche per via telematica.
La direttiva Adr
Nella consapevolezza dell’importanza strategica degli Adr quale modalità alternativa di risoluzione delle controversie (nell’ottica di sgravare il contenzioso di Tribunali già ingolfati risparmiando costi e tempi per gli utenti), si inserisce la Direttiva Adr 2013 novembre Ue, che l’Italia dovrà recepire entro il 9 luglio 2015. La Commissione europea ha individuato in tale direttiva, assieme a quella sul commercio elettronico, una delle principali leve volte a stimolare la crescita dello sviluppo economico e la progressione verso il mercato unico degli Stati membri.
La direttiva Adr si applica ai procedimenti di risoluzione extragiudiziale delle liti (nazionali e transfrontaliere) relative ad obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di servizi tra consumatori residenti nell’Unione europea e professionisti in essa stabiliti, mediante il ricorso ad un organismo Adr, con finalità di agevolare un amichevole componimento della lite.
Arbitrato e clausola risolutiva
In alternativa a strumenti giudiziali di risoluzione delle controversie le parti restano sempre libere di prevedere nei propri contratti rimedi negoziali, inserendo clausole compromissorie (con le quali si conviene che in caso di controversia la lite sarà rimessa ad uno o più arbitri), oppure una clausola risolutiva espressa (in forza della quale ove una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite nel contratto, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende avvalersi della clausola). Con il ricorso alla clausola risolutiva espressa, il contratto si risolve di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi di tale clausola, senza dover ricorrere al giudice per ottenere una sentenza di accertamento giudiziale dell’inadempimento di controparte.
Occorre ricordare che nei contratti business to business conclusi attraverso condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti, la previsione di clausole compromissorie (o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria) comporta la specifica approvazione per iscritto ai sensi dell’articolo 1341 del Codice civile.
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