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Newsletter del 29 Ottobre 2015

Mobbing diventa abuso d’ufficio

Roma

Il mobbing del primario nei confronti del suo aiuto fa scattare i reati di maltrattamenti in famiglia e abuso d’ufficio.

La Cassazione (sentenza 40320) accoglie il ricorso di un dirigente medico, progressivamente emarginato dal direttore dell’unità chirurgica presso la quale lavorava. I giudici di merito avevano deciso per il non luogo a procedere nei confronti del “capo” affermando anche l’insussistenza dell’abuso d’ufficio e dei maltrattamenti nei confronti di familiari e conviventi (articolo 572 del Cp), reato ormai esteso, a certe condizioni, ai rapporti di lavoro.

Condizioni che per la Cassazione ci sono. La Suprema corte esclude che tra «professionisti di elevata qualificazione» sia assente la dinamica relazionale supremazia-soggezione psicologica. Anche professionisti di alto livello hanno una forte soggezione nei confronti del superiore che, con le sue scelte, può determinare il loro destino lavorativo. Né il rapporto para-familiare può essere escluso in virtù della grande dimensione dell’ospedale, essendo questo è diviso in reparti e unità operative all’interno dei quali è possibile che esistano relazioni di sudditanza fra direttore e aiuto. Per finire, il mobbing in famiglia non è escluso neppure della possibilità di mettere in atto, dopo avere a lungo subìto, le tutela previste dalla legge.

Per il primario-padrone c’è anche l’abuso d’ufficio (articolo 323 del Cp). La Cassazione ricorda che il Dpr 3/1957 (articolo 13) impone al pubblico dipendente un dovere di collaborazione con tutti i colleghi. Da questa norma, nonostante le riforme e la contrattazione collettiva per la dirigenza medica, la categoria non si è mai “sfilata” non avendo regolato la materia. Nel suo raggio d’azione rientrano quindi le vessazioni del primario.

La Cassazione, discostandosi da un precedente orientamento, ritiene che l’abuso d’ufficio si concretizzi anche con la sola violazione dell’articolo 97 della Costituzione sull’imparzialità della Pa, per la parte in cui vieta al pubblico ufficiale di mettere in atto ingiustificate preferenze o favoritismi. Un dettato costituzionale ritenuto in genere inutilizzabile, per la sua natura programmatica, in un campo come quello penale che impone una tassativa descrizione della norma incriminatrice.

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